(Teleborsa) - Il processo atteso di
convergenza delle regioni italiane meno sviluppate, nello specifico in quelle del
Mezzogiorno, non si è verificato. Anzi, al contrario, hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell'Ue. È una delle principali evidenze emerse dal un rapporto
Istat dedicato alla
politica di coesione all'interno dell'Unione europea presentato nel corso di una conferenza stampa sui "vent'anni di mancata convergenza". Ma lo studio ha sottolineato che è "l'
intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo".
"Il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come meno sviluppate (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo) non sembrerebbe essersi verificato, avendo queste regioni continuato a crescere sempre meno di qualsiasi media Ue, al punto da poter essere considerate tutte insieme come l’
area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell’Europa occidentale", si sottolinea nel rapporto.
In queste regioni, infatti, la doppia crisi economica del 2008-09 e del 2011-13 non è stata praticamente mai intervallata da una fase di
ripresa economica, e anche nel periodo successivo il
tasso di crescita medio annuo del PIL pro capite, è stato inferiore rispetto al dato nazionale ed europeo con la sola eccezione delle sue regioni più piccole.
Lo studio ha messo in evidenza come da quasi 50 anni le regioni del Sud abbiano smesso di avvicinarsi verso i più elevati standard economici del Centro-nord del Paese, rappresentando un’eccezione nel panorama internazionale caratterizzato, almeno fino alla crisi del 2008, da rilevanti episodi di riduzione dei divari all’interno di economie avanzate come
USA,
Spagna e
Germania.
Risultati tutt'altro che confortanti arrivano anche se si allarga lo sguardo anche alle Regioni italiane più ricche. L'Istat ha infatti sottolineato che nel 2021 fra le
prime 50 regioni europee per PIL pro capite a parità di potere d'acquisto compaiono solo quattro sono italiane – Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d'Aosta –, meno della metà di quante ne risultassero nel 2000 quando erano dieci. Sempre nel 2000 nessuna regione italiana risultava tra le
peggiori 50 mentre nel 2021 fra le ultime 50 mentre oggi se ne trovano ben quattro: Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.
A spiegare tali dinamiche lo studio di tre fattori: tasso di occupazione, produttività e struttura democratica. Se la
componente demografica sembra aver avuto un ruolo trascurabile e la
produttività abbia contribuito positivamente alla riduzione delle distanze, "è possibile evidenziare – si legge nel rapporto – come la differenza in termini di PIL pro capite che separa le regioni meno sviluppate italiane dalla media europea sia riconducibile quasi interamente al
tasso di occupazione, soprattutto nei primi due cicli di programmazione nel nuovo millennio". risultata in crescita la produttiva.