(Teleborsa) - Oggi
le nuove classi di concorso giungono sul tavolo del Consiglio dei ministri: dopo sette anni di attesa, decine di bozze e rinvii a non finire, giunge dunque a compimento quella
revisione delle classi concorsuali prevista addirittura dall’ultimo Governo Berlusconi.
A darne notizia è il
sindacato Anief aggiungendo che il regolamento era particolarmente atteso perché indispensabile per l’avvio del prossimo concorso per 63 mila posti che, doveva essere varato al massimo entro il 1° dicembre 2015.
Il problema, spiega il giovane sindacato della scuola, non è che le nuove classi di concorso siano giunte fuori tempo massimo. Il punto è che "
la revisione si sta traducendo in un forzato accorpamento delle discipline insegnate dallo stesso docente:
sono scomparse ben 52 classi di concorso, passate da 168 a 116; mentre ne sono state introdotte, di nuove, appena 13 (11 per le discipline musicali, coreutiche e tecnica della comunicazione, 2 per gli insegnamenti tecnico pratici). Per cancellare 39 classi concorsuali, si è prodotta un’
aggregazione davvero eccessiva giungendo, persino, a raggruppare tutto quanto in
otto ambiti disciplinari, in modo da
assegnare ai docenti il potenziale insegnamento di un alto numero di materie.
Lo scopo? "Una maggiore fungibilità dei docenti: l’accorpamento consente di aumentare il numero di posti per classe di concorso e il tasso di sostituibilità degli insegnanti", spiega un comunicato di
Palazzo Chigi”.
Il processo conseguente a questa scelta, spiega l'Anief,
è facile da immaginare, perché
d’ora in poi “lo stesso docente potrà insegnare ancora più materie di quelle tre o quattro per le quali, attualmente, è abilitato dalla propria classe di concorso.
Con il rischio, però, di un annacquamento delle competenze, soprattutto per le materie tecnico-scientifiche".
E' una riduzione che aiuta chiaramente i processi di mobilità del personale, anche coatta, a discapito del livello qualitativo delle lezioni e dell’offerta formativa - commenta
Marcello Pacifico, presidente Anief -. Viene da chiedersi: “Che senso ha aver prodotto dei corsi abilitanti negli ultimi tre anni per quasi 100mila docenti, secondo le vecchie regole, per poi ora costringerli ad insegnare delle discipline diverse?”