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L’affare petrolio d’Italia

Economia, Scienza e tecnologia
L’affare petrolio d’Italia
(Teleborsa) - Dite la verità, quando si parla petrolio e della sua disponibilità la confusione è massima! Eravamo abituati a considerare le riserve petrolifere mondiali in lento declino, lo affermava Marion King Hubbert che aveva teorizzato il picco di produzione petrolifera negli anni’70. Invece, da pochi anni tra lo shale oil, le nuove tecniche d’indagini e l’inaspettato calo sia dei consumi che del prezzo, tutto è diventato confuso, quasi un guazzabuglio.

La cosa in Italia è ancora più eclatante, infatti, il Bel Paese è passato essere povero di idrocarburi a nuovo bengodi petrolifero. Confermano questo nuovo status dell'Italia le roboanti ichiarazioni di Romano Prodi, "Quel mare di petrolio che giace sotto l’Italia: possiamo raddoppiare la produzione di idrocarburi", e le puntigliose asserzioni di Matteo Renzi, "È impossibile andare a parlare di energia e ambiente in Europa se nel frattempo non sfrutti l'energia e l'ambiente che hai in Sicilia e in Basilicata… potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini".

Si dovrebbe evincere che in Italia il petrolio ce ne sia, e tanto, così da giustificare le norme del Ddl detto "Sblocca Italia", da alcuni ribattezzato "sblocca trivelle", che permettono di superare tutti gli ostacoli legislativi nazionali e locali per avviare le attività estrattive. E' legittima, quindi, la curiosità su quanto ammonta l'oro nero italiano.

Esistono due dorsali petrolifere, una adriatica che va da Chioggia al Gargano sulla quale si stanno "affacciando" le trivelle sia Italiane che Croate, e un’altra appenninica che va dall’Emilia Romagna fino in Basilicata. Esiste poi una "zona siciliana" che fa un po’ mondo a se. Comunque, "l’Arabia Saudita" d'Italia è la Basilicata che produce oltre l’80% del petrolio nazionale, mentre la Sicilia ne estrae circa il 9% e sorprendentemente il Piemonte il 2%. I giacimenti italiani, se lo "Sblocca trivelle" si rivelerà efficace, potrebbero garantire 170 milioni di tonnellate di petrolio entro il 2020 a fronte di 15 miliardi d’investimento, ma alcuni ottimisti stimano essere presenti sotto il suolo patrio circa 700 milioni di tonnellate di petrolio.

D’altra parte, il nostro Paese consuma 63 milioni di tonnellate di petrolio l’anno, quindi le riserve stimate sarebbero sufficienti, agli attuali consumi, per circa 11 anni. Raggiungere la massima capacità estrattiva, comunque, non è semplice, il petrolio va trovato e questo significa concedere tutte le autorizzazioni all'enorme quantità di richieste di trivellazione presentate dalle compagnie petrolifere; ciò significa che la Basilicata dovrebbe dare in concessione il 77% del territorio regionale. Nonostante ciò la produzione italiana equivarrebbe allo 0,1%-0,2% della produzione mondiale ponendo il nostro Paese vicino al 49° posto tra i produttori mondiali.

Più interessante è il discorso sulle royalty italiane, tra le più basse del mondo. Infatti, le società petrolifere, oltre alle tasse governative, versano allo Stato solo il 4% dei loro ricavi ottenuti dalle estrazioni in mare e il 10% da quelle su terraferma. In altri paesi la situazione è ben diversa, la Norvegia ottiene quasi l’80% del ricavato dell’industria petrolifera mentre in Gran Bretagna si raggiunge il 32%. Insomma, parrebbe che quello del petrolio italiano sia un buon affare, è solo da capire per chi.
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