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La crisi greca minaccia l'euro. Atene va verso il default?

Economia, Politica
La crisi greca minaccia l'euro. Atene va verso il default?
(Teleborsa) - Il Premier greco Samaras si appresta oggi a tentare la seconda partita per l'elezione del capo dello Stato, ma non v'è dubbio che il test vero e proprio sarà il 29 dicembre, quando l'eventuale fallimento della terza votazione - fra accuse di corruzione e insani compromessi politici - potrebbe provocare lo scioglimento delle camere ed aprire alle elezioni anticipate, con tutte le conseguenze del caso: eventuale vittoria della sinistra di Syriza, crollo della fiducia dei mercati, crac dell'euro.

Può essere battezzata Grecia 3.0 la crisi scoppiata poco prima del Natale, ma la sua detonazione rischia di scuotere le fondamenta dell'euro, ormai da tempo minato da forze centrifughe euroscettiche.

Ci ha provato la Scozia, con un referendum che voleva porre rimedio ad una sudditanza plurimillenaria, ci ha provato anche la Catalogna, ma il tentativo di indipendenza è stato sapientemente bloccato da Madrid con il ricorso ad un cavillo costituzionale. Eppure gli euroscettici sono tutti lì alla finestra, a guardare l'euro che consuma sé stesso, facendo della Grecia il vessillo della lotta per l'indipendenza.

Affermava di recente Carlo De Benedetti, in una intervista a Il Sole 24 Ore: "Il cannone della politica imbracciato dalla sinistra greca potrebbe davvero segnare la fine dell'esperienza dell'euro, mostrando ai mercati che una via d'uscita dalla moneta unica c'è e che l'euro non è acquisito una volta per tutte".

Affermazione che in qualche modo non contrasta con quanto ribadito di recente dal Presidente della BCE, Mario Draghi, secondo cui "l'euro è irreversibile e indietro non si torna". Parlando all'Europarlamento dinanzi agli euroscettici, Draghi ha infatti ipotizzato un restyling dell'Area Euro, dove resteranno solo i virtuosi, quelli che "fanno i compiti a casa", che attuano le riforme a scapito della propria sovranità. "L’euro resterà la moneta unica di una parte dell’UE - ha ammonito Draghi - ma se qualche Stato volesse uscirne non sarà certo Francoforte a poterlo fermare".

A tredici anni dall'introduzione dell'euro, però, il disagio sociale è imperante, soprattutto in quei Paesi che vengono definiti la periferia del'Area Euro e, come ogni periferia che si rispetti, subiscono le conseguenze dell'emarginazione socio-economica. E se la Grecia è solo una piccola parte della moneta unica, allora perché fa tanta paura?

La possibilità che Atene finisca in default è concreta, l'FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha concesso solo una piccola proroga agli aiuti, il debito pubblico continua a crescere nonostante l'austerity ed ha raggiunto il 175% del PIL, anche rappresenta solo il 2,5% del PIL di Eurolandia. Il problema però è che solo una piccolissima parte di questo debito è detenuta dai greci, dunque le ripercussioni di una sua ristrutturazione si farebbero sentire concretamente nel Continente.

C'è poi l'aspetto psicologico non indifferente nei confronti di un'unione che non si è mai proposta come momento di aggregazione, ma ha piuttosto rappresentato un vincolo non indifferente per le economie che hanno scelto di appartenervi, in una delle fasi che può essere considerata una delle più buie della storia economica moderna. Di qui l'euroscetticismo imperante ed il fallimento di una leadership (quella tedesca) che non ha saputo dare una risposta al bisogno di evolvere nell'era della globalizzazione.
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