La telenovela di Tim prosegue: si illude chi pensa che i problemi siano stati finalmente risolti, e che siamo giunti all'Happy End con l'ingresso minoritario dello Stato italiano nella nuova società che ne rileverà la rete.
Anche delle ultime vicende sappiamo tutto, soprattutto che neppure l'ultimo giro azionario fatto dai francesi di
Vivendi è andato come speravano. Con i tassi di interesse alle stelle che vanno a gravare su un
debito assai più che consistente, essendo arrivato a 31,3 miliardi di euro. Ormai non c'è nessuna possibilità di abbatterlo per vie interne: il settore delle telecomunicazioni, a livello azionario e di mercato, è in ribasso da anni con prezzi e margini sempre più esigui.
Da vendere, Tim non ha più niente, oltre la rete, dopo la
cessione delle partecipazioni estere, anch'esse comprate a debito quando le loro valutazioni erano altissime, gli asset immobiliari e la messa a fattor comune con gli altri operatori delle torri di accesso ai sistemi radio.
La rete sarà scorporata, messa dentro una scatola societaria insieme ad una consistente quota dei debiti in essere per un ammontare compreso tra gli 8 ed i 10 miliardi di euro, per essere acquistata da una Net.co di nuova costituzione: il prezzo della offerta congiunta da presentare a TIM sarà compreso tra i 20 ed i 23 miliardi di euro. La compagine azionaria sarà assai variopinta: gli americani del
Fondo KKR avranno il 65%, il
MEF entrerà con un investimento di 2-2,5 miliardi che non corrisponde affatto a quel 20% che servirebbe, insieme al restante 15% ripartito tra
F2I che prenderebbe il 10% ed un altro partner italiano con il residuo 5%, per arrivare al 35%. L'
obiettivo è infatti quello di raggiungere il 35% da parte di un complesso degli azionisti italiani, al fine di creare una minoranza di blocco nel caso di operazioni straordinarie.
Sullo scorporo, è chiaro che non verrà fatta una scissione proporzionale che sarebbe esente da imposte sulle eventuali plusvalenze e manterrebbe gli azionisti attuali nel loro ruolo, ma che si tratterà della cessione contemporanea di un ramo di azienda e di debiti. In proposito, sarà necessario ricevere il consenso di tutti i creditori: sia di quelli ceduti che di quelli residui, che potrebbero eccepire un depauperamento delle rispettive garanzie.
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