Questa solida integrazione produttiva realizzata tra il Nord industriale dell'Italia con la Germania, e soprattutto con l'area renana e bavarese, è derivata soprattutto dalla dismissione da parte dell'Italia dei grandi insediamenti produttivi, dal settore metallurgico e quello automobilistico, fino alla chimica. Ma ora
questa sinergia è messa in discussione dalla transizione energetica, con l'abbandono forzato delle automobili con motori a combustione interna e dalla rinuncia al gas russo a costi convenienti anche da parte della Germania.
Occorre dunque guardare con particolare attenzione i
dati destagionalizzati relativi alla produzione industriale italiana, senza fermarsi a quelli che riguardano i beni di consumo, durevoli e non durevoli, che pure segnano un andamento al ribasso: a marzo scorso, l'indice destagionalizzato e corretto per gli effetti del calendario relativo a questa categoria di beni (2015=100) è stato pari a 111,1 con una variazione negativa di -4,7 punti rispetto al marzo 2022.
Lo stesso è accaduto con i prodotti intermedi, con l'indice destagionalizzato che a marzo scorso ha toccato appena quota 98,4. Non solo questo valore è più basso di quello di ben otto anni fa, il 2015=100, ma è più basso di tutti quelli rilevati nel biennio 2021-2022, visto che il livello più alto era stato raggiunto nel luglio 2021 con 106,9. Anche i corretti con gli effetti del calendario mostrano un andamento analogo: a marzo scorso l'indice è stato pari a 110,4 mentre era stato di 117,4 a marzo 2022.
Bisogna guardare all'economia reale, alla produzione industriale, visto che poi tutto si riflette a livello macroeconomico sulla crescita del PIL:
sulla base del DEF 2023, quest'anno il PIL reale dovrebbe crescere solo dell'1%, mentre quello nominale del 5,8% visto che il deflatore del PIL (l'indicatore che misura l'inflazione complessiva, non solo quella dei prezzi al consumo) è previsto in crescita del 4,8%.
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