Il 28 ottobre 2022 è una data che dovremo ricordare a lungo per la "non svolta" nella gestione della politica monetaria.
La
BCE non è riuscita a rassicurare i mercati: nonostante abbia deciso di mantenere fermi i tassi di riferimento e di confermare la prosecuzione degli
acquisti di titoli di Stato previsti dal
PEPP fino a marzo 2022, e comunque quelli del
QE, per la prima volta dal maggio scorso, il
tasso di interesse sui Btp a 10 anni è tornato oltre la soglia dell'1%: i mercati scommettono su un rialzo dei tassi.
Si dice che sia stata una
riunione interlocutoria, a Francoforte, in attesa dei nuovi dati sull'andamento dei prezzi e dell'economia europea nell'ultimo trimestre dell'anno: è ancora troppo presto sia per tirare su i tassi di interesse a causa dell'inflazione che di annunciare un prolungamento del sostegno monetario a causa del protrarsi della emergenza sanitaria e di un andamento ancora insoddisfacente della ripresa.
Il
2022 sarà un anno di estrema difficoltà: i governi europei stanno continuando a spingere sulla spesa e sul deficit, perché il recupero del crollo registrato a partire dal marzo del 2020 non è stato ancora recuperato.
Il fatto è che in
Germania l'inflazione ha registrato un +4,5% annuo, un livello mai visto da 28 anni a questa parte: tassi di interesse ancora negativi sui
Bund sono insostenibili, nonostante si tratti del safe asset per eccellenza nell'Eurozona. Il divario rispetto ai rendimenti dei
Treasury statunitensi comincia a diventare eccessivo, con il rischio di generare un effetto perverso.
La liquidità immessa dalla BCE rischia infatti di riversarsi tutta Oltreatlantico, rendendo asfittiche le richiesti di titoli pubblici europei, e quelli italiani saranno i primi a farne le spese.
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