La BCE, in due anni e mezzo di Qe, ha comprato circa duemila miliardi di titoli del debito pubblico: una quantità immensa. "Sui salari sono stati fatti dei progressi, ma ancora non ci siamo" - così ha affermato Mario Draghi nel suo intervento a un convegno del Peterson Institute di Washington, durante il quale ha auspicato che occorre fare di più per aumentarne il livello. Ha difeso il Qe, perché "è vero che possono esserci state distorsioni, ma se si creano 7 milioni di posti di lavoro in 4 anni, i benefici sono talmente superiori che le distorsioni passano in secondo piano". Si dimentica il sostegno dato per anni alle politiche di precarizzazione del lavoro, visto che il sistema basato sul posto fisso sarebbe un residuo fallimentare del passato, ed alle riforme strutturali volte a sostenere la flessibilità in uscita dal mercato, per dare la libertà di licenziare a manetta, per eliminare i contratti collettivi nazionali, per precarizzare le assunzioni.
Ora c'è paura: i salari sono a livelli storicamente troppo bassi. La piramide economica, basata sui salari, sui consumi delle famiglie, sugli investimenti pubblici infrastrutturali e su quelli delle imprese nell'economia reale, si è rovesciata. La base del sistema economico è diventata la componente finanziaria, rappresentata dal sistema azionario e da quello obbligazionario, per non parlare dei derivati a copertura di ogni genere di rischio. Ma, per prosperare, il mondo azionario, quello finanziario e quello più propriamente speculativo hanno bisogno di imprese vigorose, che vendono, che fanno utili ed investimenti; hanno bisogno di Stati che incassano entrate tributarie crescenti, frutto di una economia vivace, per poter pagare agevolmente gli interessi sui debiti pubblici; hanno bisogno di banche in grado di erogare credito alle imprese ed alle famiglie, e soprattutto di riscuotere senza incertezze le rate dei prestiti e dei mutui. Hanno bisogno, soprattutto, di famiglie che consumino.
A forza invece di massacrare il mondo produttivo, taglieggiando le imprese ed i lavoratori, la base produttiva globale si è ristretta. Ogni disoccupato costa: non produce, non consuma e qualcuno deve dargli comunque da mangiare. Dacché era un vantaggio averne tanti, perché abbassavano i costi del lavoro, ora sono un problema.
Per uscire dalla crisi, occorreva riequilibrare i rapporti tra creditori e debitori, aumentare subito i salari e le spese pubbliche infrastrutturali, in attesa che il ciclo riprendesse. Ed invece la ripresa è stata alimentata ancora una volta aumentando il debito. Quello, ormai immenso degli Stati, delle imprese e delle famiglie fa paura alle banche centrali. Sono i creditori ad avere paura che tutto frani: che i corsi elevati del mercato azionario siano frutto di una nuova bolla, che il mercato obbligazionario non regga nonostante i bassissimi tassi di interesse, che le scommesse sui derivati non siano onorate dalle controparti.
Anche i bilanci delle banche centrali sono diventati enormi, gonfiati da debiti pubblici, privati e bancari per migliaia e migliaia di miliardi di dollari, di euro e di yen. Non sanno davvero come uscirne. Eppure, era ovvio.
La piramide rovesciata non regge.
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