I quattro membri parlamentari previsti nella riforma appena presentata dal Governo saranno eletti 2 dal Senato e 2 dalla Camera dei deputati, con voto limitato. Ne consegue che nel Consiglio della RAI ci saranno 2 rappresentanti della maggioranza (che beneficia del premio di rappresentanza elettorale) e 2 delle opposizioni. Al Governo spetta la nomina di due membri, come ora, ma saranno designati dal Consiglio dei Ministri. Insomma, anche qui la decisione spetta al Gran Consiglio: non ci si fida neppure del Ministro dell'economia.
Il settimo componente del Cda RAI sarà eletto dal personale della RAI. Risulta ininfluente, perché comunque la maggioranza nel Consiglio di amministrazione è blindata: i 2 nominati dalla maggioranza di Camera e Senato ed i 2 nominati dal Governo dovrebbero fare blocco nei confronti dei 2 membri eletti dalle minoranze parlamentari. Il rappresentante del personale serve a fare bella figura.
Insomma, mentre si dice che la riforma serve a tener fuori i partiti dalla RAI, non si spiega perché il vero dominus sarà il governo, cui spetta anche designare un amministratore delegato. Tra l'altro, non si capisce neppure se costui sarà cooptato in Cda divenendone l'ottavo membro: è assolutamente inconsueto che ci sia un amministratore “delegato” che non sia membro del Cda. Sennò, da chi è delegato? D'altra parte, il testo della proposta è chiaro: l'amministratore delegato è nominato dal consiglio di amministrazione su proposta dell'assemblea.
Sempre nel ddl, si prevede che l'Amministratore delegato “rimane in carica per tre anni dall'atto della nomina, salva la revoca delle deleghe in ogni momento a parte del consiglio di amministrazione, sentita l'assemblea”. E' chiaro che si tratta di una sfiducia, ma non si capisce come il Cda possa revocare all'Amministratore delegato le deleghe che invece gli sono attribuite per legge.
Ancor più grave, poi, è la possibilità di revocare i componenti del Consiglio di amministrazione, “deliberata dall'assemblea (e cioè dall'azionista Ministero dell'economia) che acquista efficacia a seguito di parere favorevole della Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza”: in pratica, potrebbe accadere che il Governo possa revocare l'intero Consiglio di amministrazione, e quindi anche i membri nominati direttamente dalle Camere, usando la maggioranza dei voti in Commissione. Ed il bello è che questa procedura di revoca è libera, non essendo previsto che si tratti di una sorta di sanzione da parte dell'azionista nei confronti di un Consiglio di amministrazione che abbia compiuto violazioni di legge, oppure che abbia presentato per più di un anno un bilancio con gravi squilibri economici o patrimoniali. Insomma, il Governo fa e disfa come crede.
I poteri della Commissione parlamentare sono ridotti al lumicino: in pratica, solo alla disciplina delle Tribune elettorali e delle Tribune politiche. Anche i poteri che risalgono a trent'anni fa, alla legge 103 del 1975 sono ridotti considerevolmente.
Tutte le altre novità che ci sono state promesse rimangono un mistero. La riforma del canone è rinviata ad un decreto delegato, così come quella dei servizi media audiovisivi e radiofonici, per la quale il Governo ha i seguenti direttivi “riordino e la semplificazione delle disposizioni vigenti; definizione del servizio pubblico con riguardo alle diverse piattaforme tecnologiche tenendo conto della innovazione tecnologica e della convergenza delle piattaforme distributive; indicazione espressa delle norme abrogare”.
Insomma, il Governo chiede una delega in bianco per fare ciò che vuole. Siamo tornati al passato, quello in cui il Governo faceva ciò che voleva e il Parlamento non conta niente.
Eiar, Eiar, alla RAI!
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