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L’arte di Jan Fabre a Roma: fragilità, esperienza umana e libertà

Per la prima volta in Italia i due più recenti capitoli della produzione del visionario artista belga tra superamento dei limiti e disvelamento delle contraddizioni della vita

Cultura, Economia
L’arte di Jan Fabre a Roma: fragilità, esperienza umana e libertà
(Teleborsa) - Si è tenuta il 30 gennaio scorso, presso la Galleria Mucciaccia di Roma a due passi da Piazza di Spagna, l’inaugurazione della mostra dedicata a Jan Fabre, artista belga di fama internazionale, con le sue opere più recenti per la prima volta in Italia, esposte al pubblico fino al 1° marzo 2025: "Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud)" e "Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre)", composte in totale da 11 sculture in marmo di Carrara e 40 disegni.

Nato ad Anversa nel 1958, Jan Fabre è riconosciuto come una delle figure più innovative e versatili nel panorama artistico contemporaneo, ed è particolarmente affezionato all’Italia e ai suoi maggiori artisti. La sua carriera, iniziata negli anni ’80, abbraccia diverse discipline, tra cui le arti visive, il teatro, la coreografia e la scrittura, tutte legate da un fil rouge: l’approccio provocatorio e visionario, la curiosità verso temi connessi alla corporeità, alla metamorfosi e alla relazione tra arte e scienza, la capacità di accogliere paure e fragilità, il peso della riflessione.

"Songs of the Canaries": un tributo alla fragilità e alla libertà tra prigioni fisiche e mentali

La prima sezione della mostra, "Songs of the Canaries", è un omaggio a Emiel Fabre, fratello dell'artista, e a Robert Stroud, criminale e ornitologo statunitense noto come il "Birdman of Alcatraz" per i suoi studi approfonditi sui canarini mentre era in carcere. Le opere in questa serie combinano sculture in marmo di Carrara e disegni realizzati con matite colorate su Vantablack, il materiale più nero esistente al mondo, creando un contrasto visivo netto ed intenso che enfatizza la delicatezza dei soggetti rappresentati. Le sculture raffigurano canarini posati su cervelli umani, e simboleggiano l’interconnessione invisibile eppure potentissima tra pensiero e libertà: opere come "Thinking Outside the Cage" (2024) e "Sharing Secrets About the Neurons" (2024) invitano ad esempio lo spettatore a riflettere sulla complessità della mente umana e sul desiderio innato che l’uomo ha di trascendere i propri limiti. Protagonista centrale di questa sezione è "The Man Who Measures His Own Planet" (2024), una scultura monumentale che rappresenta una figura intenta a misurare l'immensità del cielo, con il cranio aperto a rivelare il cervello, simbolo dell'esplorazione dell'ignoto e della ricerca della conoscenza.

"Songs of the Gypsies": un dialogo tra musica e scultura sotto il segno della resilienza

La seconda parte della mostra, "Songs of the Gypsies", rende omaggio al leggendario chitarrista jazz Django Reinhardt, che nonostante una importante menomazione alla mano sinistra divenne una icona della musica mondiale per la portata innovativa della sua tecnica, e al figlio dell'artista, Django Gennaro Fabre. Le opere in questa serie includono sculture in marmo di Carrara che raffigurano un neonato, ispirato appunto al figlio di Fabre, in pose che evocano l'energia e la creatività del jazz. Qui le sculture sono accompagnate da incisioni di partiture musicali, con il fine ultimo di creare un'interazione tra forma visiva e suono unendo due linguaggi espressivi
apparentemente lontani.

La visione dell'arte e della vita di Jan Fabre

Il lavoro di Jan Fabre è sempre stato caratterizzato da una profonda esplorazione della condizione umana, spesso attraverso la lente della fragilità e del cambiamento. L'uso di materiali come il bianco marmo di Carrara e il nerissimo Vantablack, poi, non è affatto casuale: il marmo rappresenta la tradizione e la permanenza, mentre il Vantablack, con la sua capacità di assorbire quasi tutta la luce, simboleggia l'ignoto e l’infinito. Bianco e nero insieme, costretti a rispecchiarsi l’uno nell’altro e convivere per ridisegnare lo spazio fisico dell’allestimento capitolino, così come lo spazio immateriale che ognuno di noi lascia internamente per il compromesso, la sfida, la bellezza, la verità, la conoscenza.
L’artista integra di frequente riferimenti alla scienza e alla natura nelle sue opere (la rappresentazione di cervelli umani e canarini in "Songs of the Canaries"; sottolinea ad esempio l'interesse di Fabre per la neurologia e la psicologia), creando un dialogo costante, e per certi versi anche controverso, tra arte e conoscenza (l'omaggio a Django Reinhardt in "Songs of the Gypsies" pone l’accento sull'importanza della resilienza e della creatività nell'affrontare le sfide della vita).
Per Fabre, dunque, l’arte è un mezzo per esplorare le profondità dell'esperienza umana ma anche per sfidare le convenzioni sociali e culturali, e la sua pratica artistica rappresenta una ricerca incessante della verità e della bellezza, spesso attraverso l'esplorazione di argomenti tabù.
L’artista, nella sua visione, è un "guerriero della bellezza" (così scrive il visionario belga in Dall’azione alla recitazione. Le Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo), che, convinto della capacità dell’arte di elevare l’esperienza umana, lotta di continuo per portare alla luce - e rendere accettabili, sostenibili, scalabili - le numerose e insondabili contraddizioni della vita stessa.

(Foto: foto Pierluigi Di Pietro)
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