(Teleborsa) -
Cinque i quesiti ammessi, tre quelli bocciati. La
Corte Costituzionale si è espressa sui referendum che si voteranno in una domenica tra il prossimo 15 aprile e il 15 giugno. In tema di giustizia sono stati ammessi i quesiti riguardanti l'abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità (legge Severino); la limitazione delle misure cautelari; la separazione delle funzioni dei magistrati; l'eliminazione delle liste di presentatori per l'elezione dei togati del Csm; il riconoscimento nei consigli giudiziari del diritto di voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. In attesa del deposito delle sentenze, previsto nei prossimi giorni, l'Ufficio stampa della Corte ha fatto sapere che tali quesiti "sono stati ritenuti ammissibili perche´ le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario". Inammissibile, invece, il quesito sulla responsabilità civile diretta dei magistrati in quanto sarebbe stato un referendum "innovativo più che abrogativo". Un discorso a parte va fatto per gli altri due quesiti cassati riguardanti l'omicidio del consenziente (sul quale la decisione è arrivata ieri) e la coltivazione di sostanze stupefacenti. Presentati all'opinione pubblica come referendum sull' "eutanasia" e sulla "cannabis", in realtà riguardavano tutt'altro. Tanto che, in conferenza stampa, il
presidente della Consulta, Giuliano Amato, – ribadendo che la Corte non giudica nel merito – si è anche spinto a consigliare la corretta formulazione dei quesiti.
RESPONSABILITÀ CIVILE DIRETTA DEI MAGISTRATI – "Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati perché, fondamentalmente – ha anticipato Amato – essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, ovvero si cita lo Stato e poi c'è la rivalsa del magistrato, l'introduzione della responsabilità diretta rende il referendum più che abrogativo, innovativo".
OMICIDIO DEL CONSENZIENTE – "Volete voi che sia abrogato l'art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole "la reclusione da sei a quindici anni."; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole 'Si applicano'?". Presentato dai promotori come referendum sull' "eutanasia", il quesito referendario chiedeva, nei fatti, di consentire l'impunità per l'omicidio di una persona consenziente purché maggiorenne e capace di intendere e di volere. Con l'abrogazione parziale dell'articolo 579 il testo sarebbe risultato il seguente: "Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso: Contro una persona minore degli anni diciotto; Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno". Come ha rilevato la Corte "a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma
sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili". Parlando dell'eutanasia Amato ha chiarito che "si tratta di una questione da risolvere" ma ha sottolineato che con il quesito presentato, che non si riferiva solo alle persone in stato di sofferenza, avremmo spianato la strada ad "altri casi di cui saremmo stati tutti responsabili". "Vi dico una cosa che non potrei dire: chi lo sa che presentandoci la questione non sotto forma di quesito referendario ma di questione di legittimità costituzionale dell'articolo 579 – ha detto Amato – non sarebbe possibile trattarlo come abbiamo trattato il 580 (suicidio assistito). Questa Corte il suicidio assistito a determinate condizioni lo ha depenalizzato". Amato ha rinnovato, infine, un invito al Parlamento a legiferare sull'eutanasia.
SOSTANZE STUPEFACENTI – "Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza", limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73, comma 1, limitatamente all'inciso "coltiva" e alle
parole "a qualsiasi titolo" e "per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene"; Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole "la reclusione da due a 6 anni e"; Articolo 75, limitatamente alle parole 'a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;'?". Come ha sottolineato in conferenza stampa Amato è clamoroso l'errore contenuto nel testo presentato dai promotori del referendum. L'articolo 73 del "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza" al comma 1 "Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope" recita: Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000". Tra le sostanze indicate nella tabella I non è elencata la cannabis che si trova, invece, nella tabella II. Con tale formulazione il quesito referendario chiedeva, dunque, di consentire la coltivazione di altre sostanze fra cui oppio, foglie di coca e gli alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili. Non avrebbe, invece, paradossalmente, consentito la coltivazione della cannabis. Fra l'altro, le Sezioni unite penali della Cassazione, nella camera di consiglio del 19 dicembre 2019, hanno già stabilito che "non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore". "Se il quesito fosse stato riferito alla Cannabis e all'uso personale della medesima – ha concluso il presidente della Consulta – sarebbe stato più che ammissibile, non ho dubbi".