(Teleborsa) - Prosegue l'attività di contrasto della Guardia di Finanza al fenomeno delle frodi legate ai crediti d'imposta derivanti dai bonus edilizi. I finanzieri del Comando Provinciale di Vicenza hanno eseguito un
sequestro preventivo, sia diretto che per equivalente, su crediti d'imposta, beni e denaro per un valore complessivo di
4,65 milioni di euro. Il provvedimento, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Verona, ha colpito tre società riconducibili a due individui indagati per i reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche, tentata truffa a danno dello Stato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e autoriciclaggio.
Al centro delle indagini un
meccanismo illecito attuato, tra il 2021 e il 2022, da due imprenditori edili veronesi che, tramite il meccanismo dello "sconto in fattura", hanno generato e ceduto - a danno di 26 ignari committenti - crediti d'imposta falsi per un ammontare complessivo di 4.659.192 euro, dichiarando interventi edilizi mai effettuati su immobili ubicati nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Più in particolare, già nell'agosto del
2023, i finanzieri del Gruppo di Vicenza avevano attivato la Direzione Provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Verona per sospendere la compensazione di crediti per 450.000 euro da parte di una delle società coinvolte.
Le successive investigazioni hanno consentito di rivelare che i crediti fittizi erano riferiti, per la gran parte, a interventi edilizi mai realizzati per i quali le due società appaltatrici erano totalmente sconosciute ai proprietari degli immobili, che non avevano mai commissionato i lavori né firmato i relativi contratti d'appalto. In alcuni casi, invece, per la generazione dei crediti fittizi, le aziende coinvolte hanno indebitamente fatto uso di dati acquisiti in occasione della richiesta di preventivi per la ristrutturazione di immobili da parte dei relativi proprietari. A riprova della "
disinvoltura criminale" dei due indagati, le fiamme gialle beriche hanno appurato anche che, in una circostanza, l'immobile oggetto di fittizio intervento non era mai stato di proprietà dell'ignaro committente. Inoltre, anche nei pochi casi in cui i committenti avevano effettivamente sottoscritto un contratto di appalto, i lavori non erano stati comunque realizzati, fatta eccezione per un unico immobile sui quali sono stati eseguiti parzialmente.
Non solo frode, ma
anche (auto)riciclaggio. Dall'analisi dei flussi bancari è infatti emerso che circa mezzo milione di euro derivante dalla monetizzazione dei crediti fittiziamente generati è stato reimpiegato nelle attività economico-imprenditoriali riconducibili ai medesimi indagati.