(Teleborsa) -
Con un impatto economico negativo pari a
10,2 miliardi di euro l’anno, la
Lombardia è la regione italiana più colpita dal
fenomeno dell’
Italian Sounding. Seguono
Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). I dati della ricerca di The
European House - Ambrosetti, realizzata in occasione dell’’8° forum
“La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, evidenzia, inoltre, come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la
Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di
oliva e vini. Anche il
Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l'imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti.
L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023. “Le regioni più colpite dal fenomeno - spiega
Valerio De Molli - Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti - sono quelle che concentrano la propria
esportazione su prodotti ad alta intensità di Italian Sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)”. “La tutela del Made in Italy – continua De Molli - è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le
associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’Italian sounding
nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”. Come analizzato nel dettaglio da The European House-Ambrosetti,
nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export Food&Beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di
export agroalimentare di vero Made in Italy. “L'Italian Sounding – ha aggiunto
Benedetta Brioschi, partner TEHA -
è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli
Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%”.
In
Cina, Giappone e Canada mediamente
7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da TEHA, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente
Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa. Ragù (61,4% Italian Sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero.
“L’Italian Sounding – conclude Valerio
de Molli – si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero. Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione d
i ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto”.