(Teleborsa) - Il
Coronavirus fa parte del
Gruppo degli Ecovirus (virus dell'economia) ossia di quel gruppo di virus che sono letali non solo per l'uomo, ma anche per le economie dei Paesi "ospiti". Questi Ecovirus hanno
precise caratteristiche che li distinguono dai virus normali.
- Diventano particolarmente aggressivi a fronte di scenari economici già provati da patologie conclamate o con gravi sindromi immunodepressive (scarsa crescita, scarsa produttività, elevato indebitamento etc.);
- data la elevatissima capacità di contagio, generano un fenomeno di "angoscia sociale" che ovviamente si abbatte come una onda anomala su quei settori (turismo, ristorazione, agroalimentare) a forte impatto emozionale;
- hanno un forte istinto di conservazione che li porta a radicarsi saldamente nell'economia come Alien nel film del 1979.
Più si attacca l'Ecovirus con misure vigorose per estirparlo (zone rosse, quarantene, limitazione ai movimenti di cose e persone, chiusura di esercizi ed aziende) e
più questo si difende danneggiando l'economia del Paese ospite. Un piccolo esempio: subito prima dell'ultimo decreto, si ragionava se includere o meno due comuni del bergamasco nella fascia rossa; sicuramente si sarebbe contrastato ulteriormente la diffusione del virus, ma si sarebbero anche immediatamente
messi a rischio 376 aziende e 3700 operai.
Senza contare che gli
Ecovirus, imponendo ai
governi di scegliere tra economia e salute,
levano lucidità alla loro capacità decisionale perché li espongono a contraccolpi sociali, politico–elettorali e mediatici. E forse anche all'intervento della magistratura. Ad esempio, se in una particolare zona si riducono troppo presto le cautele sanitarie nel tentativo di far ripartire al più presto il volano dell'economia, si corre il
rischio di creare una crisi a "w", ossia di generare un
doppio picco di contagio in un
tempo ravvicinato. Risulta evidente il contraccolpo che ne deriverebbe sia a livello economico che a livello psicologico.
Ma la
caratteristica più pericolosa dell'Ecovirus è che
aggredisce l'economia generando nelle imprese una crisi di cassa. La precedente
crisi del 2008 è nata come crisi finanziaria generata dai subprime, poi ha coinvolto il settore bancario e assicurativo ed infine si è trasmessa al tessuto imprenditoriale nei diversi Paesi.
Nel caso attuale, invece, l'Ecovirus genera inizialmente una duplice crisi economica. Infatti, da una parte, riduce l'offerta a causa delle difficoltà produttive (approvvigionamenti materie prime, esaurimento scorte etc). Dall'altra provoca il crollo della domanda sia a causa dei divieti, che dell'angoscia sociale intervenuta. Il problema è che la
duplice crisi economica, date le sue caratteristiche, tende a
degenerare rapidamente in una pericolosissima crisi di cassa.
E qui il
discorso diventa molto
delicato per le
aziende perché non si parla più di fatturato, di costi, di ricavi, di indebitamento e di patrimonio. Entrano bruscamente in scena variabili molto reattive quali
incassi e pagamenti che sono perfettamente in grado di generare un forte rischio di avvitamento della situazione. E per cassa si fallisce: l'imprenditore non si arrende quando i costi superano i ricavi, ma quando il fornitore, vista l'impossibilità di essere pagato, ricarica la merce sul furgoncino e se ne va. Alla fine, il
grande rischio è che la crisi di cassa generata dall'Ecovirus determini una interruzione della continuità produttiva (approvvigionamenti di materie prime e semilavorati, lavorazione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti) con conseguenze facilmente immaginabili.
E, purtroppo,
questa caratteristica dell'Ecovirus tocca in particolare il tessuto produttivo italiano per almeno 2 motivi.
Il
primo riguarda il fatto che il nostro
sistema imprenditoriale è costituito in massima parte da
piccole e medie imprese che non hanno le spalle sufficientemente larghe per fronteggiare una brusca crisi di liquidità. E questo, paradossalmente, proprio perché, avendo potuto storicamente contare su un sistema bancario che le sosteneva, non hanno mai sentito una vera esigenza di rafforzarsi finanziariamente. Esattamente il contrario di quanto fatto dalle aziende del centro Europa che hanno sempre dovuto fare i conti con sistemi bancari molto più concentrati su finanza e derivati che sull'erogazione del credito alle imprese.
Il
secondo motivo riguarda il fatto che la
posizione di liquidità di molte nostre PMI risulta indebolita dalla piaga dei pagamenti lenti della PA. Non è un caso che di recente la Corte di Giustizia Europea abbia puntato il dito contro la nostra Pubblica Amministrazione rea di
non rispettare i termini di pagamento stabiliti dalla direttiva comunitaria (30 giorni elevabili a 60 per la sanità). Ora, è vero che, grazie alla fatturazione elettronica, questo fenomeno si è ridimensionato, tuttavia rimane la questione che questa lentezza nei pagamenti
non solo mina alla base la concorrenzialità delle nostre imprese, ma le
espone anche alle insidie dei nuovi Ecovirus.
di
Andrea Ferretti