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Lira turca: Trump non perdona

La palla è ora nelle mani di Erdogan: chiederà aiuto al Fondo Monetario Internazionale e aumenterà i tassi d’interesse? La risposta lunedì 13 all'apertura dei mercati

Economia, Politica
Lira turca: Trump non perdona
(Teleborsa) - Come succede ormai da molti anni, l’estate per i mercati non è un periodo di vacanze, ma anzi rappresenta il periodo più favorevole per speculatori e per investitori di far sentire il proprio peso a governanti e finanzieri che pensano di poter agire non tenendo conto dei dati economico finanziari.

Questa volta è toccato alla lira turca e al rublo russo. Due monete accomunate da fattori geopolitici molto vicini: sono retti da due zar che fanno il bello è il cattivo tempo anche nel mondo delle rispettive economie.

La lira turca ha perso con la drammatica giornata di venerdi 10 agosto quasi il quaranta per cento e il fine settimana, con i mercati fermi due giorni, è arrivato giusto in tempo per salvare la moneta da ulteriori scivoloni. Alla base di questi tracolli ci sono cause nazionali e fattori internazionali, come le sanzioni americane che cominciano a farsi sentire.

Il Presidente Recept Tayyip Erdogan, dopo gli anni del boom, è stato un pessimo gestore della economia del suo Paese: inflazione oltre il 15 per cento, tasso di disoccupazione a doppia cifra, bilancia commerciale in deficit.

La Turchia, inoltre, è dipendente in gran parte dai capitali stranieri. Questo vuol dire necessità di quel mondo globalizzato che Erdogan snobba e che pensa di poter trarre in inganno allungando il suo potere sulla Banca Centrale e nominando al vertice del ministero delle Finanze del paese Beñat Albayrak, suo genero.

Tutto questo personalismo dirigistico e familistico, misto a un nazionalismo economico, non è piaciuto e non piace agli operatori che sono passati da uno scetticismo a una vera conversione e al pessimismo più nero, con la bastonatura sul cambio e l’effetto domino sulle borse precipitate giù prima in Europa e poi anche a Wall Street. Anche i recenti aumenti dei tassi americani hanno spinto i risparmiatori a uscire dalle economie emergenti per andare sui titoli americani, più sicuri e ritornati redditizi.

A questi fattori si aggiungono anche considerazioni di carattere politico: i rapporti tra Washington e Ankara non sono buoni. il Presidente Usa, Donald Trump, ha aggiunto alle sanzioni contro il regime turco, dopo la detenzione di un pastore della Carolina del Nord, Andrew Brunson, due nuove sanzioni, con il raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio.

La situazione è pertanto critica e grave, non solo perché si tratta di un alleato essenziale alla NATO, ma perché il sultano di Ankara fa gesti d’insofferenza verso gli alleati occidentali, andando a braccetto con la Russia e ormai scivolando verso un’applicazione fondamentalista dell’Islam. Ma anche perché la Turchia è un Paese che si è candidato a entrare nell'Unione Europea e svolge una funzione fondamentale come cerniera tra Europa e Asia.

Per non parlare del ruolo strategico nel campo dell’immigrazione: milioni di profughi delle guerre del medio oriente sono parcheggiati sul suolo turco frenando così la loro corsa verso l’Europa continentale.

Ora la palla è nelle mani di Erdogan. Chiederà aiuto al Fondo Monetario Internazionale e aumenterà i tassi d’interesse? Oppure pensa che con gli appelli di portare l’oro alla patria i mercati si convertiranno? Lo sapremo tra poche opre, domani lunedì 13 agosto, appunto all'apertura dei mercati.

Dino Sorgonà



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