(Teleborsa) - Si è spenta in fretta la recente
fiammata del petrolio.
Fino a questa notte l'oro nero aveva continuato a guadagnare posizioni soprattutto sulle
prospettive di un inasprimento delle temperature in Nord America.
Ma il rimbalzo è durato il tempo di apprendere dall'
American Petroleum Institute che nella settimana al 25 dicembre le scorte di greggio in USA dovrebbero essere cresciute di quasi 3 milioni di barili. Un dato inatteso, dal momento che la maggior parte degli analisti stimava un declino.
La prova del nove sarà oggi con i dati sugli stock forniti dall'
Energy Information Administration, anche se sono bastate le stime dell'API per riportare in auge i mai sopiti
timori di un eccesso di fornitura a livello globale.
Timori per stanno erodendo inesorabilmente le quotazioni dell'oro nero, che ad oggi ha perso il 70% del proprio valore dal picco toccato a metà 2008.
Ad aumentare le pressioni sul petrolio, oltre alle attese per una imminente inondazione di petrolio iraniano alla luce dell'
allentamento dell'embargo, anche i
piani di bilancio dell'Arabia Saudita.
Secondo gli analisti il primo produttore di greggio al mondo
difficilmente taglierà la produzione per adeguare i prezzi alla domanda ora che si appresta a mettere in atto un
piano lacrime e sangue per ridurre l'enorme deficit.
Un atteggiamento, questo, perfettamente in linea con quello dell'
OPEC, che a inizio mese ha
ribadito la propria strategia "wait and see" finalizzata più ad indebolire i grandi produttori esterni al Cartello (Russia e Stati Uniti) che a risollevare le quotazioni energetiche.
In questo momento i
futures sul WTI in scadenza a febbraio stanno cedendo 61 centesimi a 37,26 dollari al barile, mentre quelli sul
Brent, stessa scadenza, arretrano di 0,34 cent a 37,45 dollari al barile.