(Teleborsa) - Gli Stati Uniti ed il Regno Unito sono già sulla strada della ripresa, grazie ad un unico minimo comun denominatore: la politica monetaria ultra accomodante orientata a sostenere l'economia e l'occupazione. Quest'ultimo è il nodo cruciale della ripresa ed il fattore che determinerà i nuovi equilibri economici futuri, dopo una lunghissima fase recessiva.
La Federal Reserve ha letteralmente inondato i mercati con una valanga di denaro - i tre diversi piani di quantitative easing hanno superato ampiamente i 3mila miliardi di dollari - così come la Bank of England che ha messo a punto una strategia molto simile. Ambedue le banche centrali hanno già avuto risposte concrete dall'economia reale, tanto che si preparano a mutare la loro strategia, la prima con l'avvio del
"Tapering" (il programma di graduale ritiro degli acquisti di assets), la seconda preannunciando un
imminente aumento dei tassi di interesse ed un miglioramento dell'outlook sull'economia.
La Bank of Japan, anche se in seconda battuta, è riuscita a captare in tempo la ventata di rinnovamento, predisponendo, a corollario dell'Abenomics, un
imponente piano di aiuti all'economia. Proprio ieri la banca ha annunciato, in aggiunta ai precedenti aiuti, un piano di prestiti agevolati alle banche.
E la BCE? L'Istituto di Francoforte, austero nella sua immobilità, ha avuto una piccola ventata di rinnovamento quando è salito sulla poltrona della Presidenza Mario Draghi, che ha subito tagliato i tassi e lanciato ben due maxi operazioni di prestiti a tre anni alle banche europee. Tuttavia, i giochi di forza all'interno dell'Eurotower hanno progressivamente tolto linfa al nuovo timoniere dell'Eurotower, che si è cristallizzato, adeguandosi alla linea politica caldeggiata dalla Bundesbank & Co.
Orami è già troppo tardi per cambiare le cose, anche se
continuano ad arrivare promesse di sostegno all'economia. Se anche la BCE dovesse varare un piano di stimoli, non troverebbe più il treno della ripresa, partito in perfetto orario.
In questo contesto, l'Europa rischia di perdere forza nel panorama economico internazionale, a spese dei suoi Stati membri, che continuano a subire le ripercussioni di una domanda interna assente e di una estera estremamente volatile.
Per l'Italia, oggi al terzo cambio di Governo da fine 2011, la questione è anche più importante, dato che i rapporti sino ad oggi intrattenuti dai nostri Ministri e tecnici dell'economia con Mario Draghi, ex di Bankitalia, non sono stati molto sereni. Ecco perché la scelta del successore di Saccomanni sarà cruciale e perché il
toto nomine al vertice del palazzo di Via XX Settembre sta destando tanto interesse.