Il progetto europeo è in crisi, forse irreversibile. La prospettiva di superarla attraverso la creazione di una Unione politica, con una "sovranità condivisa", si fa giorno dopo giorno più irrealistica.
Dal 2008, l'Unione europea si è divisa su tutto, ed ora è più divisa che mai.
La fase di costruzione si concluse con l'ingresso della Gran Bretagna, da sempre auspicata dall'Italia in modo da bilanciare l'asse franco-tedesco. La Comunità economica europea aveva infatti sancito la pace definitiva tra due nemici secolari, che si erano fatti ben quattro guerre in un secolo e mezzo: dalle quelle di Napoleone contro Austria e Prussia a quella guerra franco-prussiana del 1870, fino ai due conflitti mondiali.
La caduta del comunismo, nel 1989, portò alla riunificazione della Germania ed all'estensione dell'Unione europea ad est, incorporando tutti i Paesi slavi e baltici che erano stati satelliti dell'URSS: ancora una volta, l'Unione europea seppe dar vita ad un progetto di cooperazione e di integrazione tra i popoli. Si accollò, con successo, il difficile ed oneroso compito di traghettarli verso la democrazia e la prosperità.
Nel 2008 si aprì una nuova stagione, con la creazione dell'Unione Euromediterranea: a Parigi, il Presidente francese Sarkozy e quello egiziano Mubarak ne furono acclamati co-presidenti. La Francia e l'Italia chiusero definitivamente, rispettivamente con l'Algeria e con la Libia, le loro vertenze post-coloniali.
Si apriva una fase nuova, di cooperazione e di sviluppo. Durò poco, anzi non decollò mai: quell'ambizioso progetto di pace e di prosperità aveva suscitato l'invidia degli dei.
Da allora, l'Europa non ha più avuto pace: la crisi finanziaria americana si abbatté pesantemente sui conti delle banche europee, che si ritrovarono in bilancio asset illiquidi e senza più alcun valore.
Invece di concordare un piano comune di intervento, i singoli Stati cercarono di salvare ciascuno le sue banche: dalla Gran Bretagna alla Germania, dal Belgio all'Austria, i rispettivi debiti pubblici si ingigantirono. Un po' alla volta, cominciarono però a saltare i conti della Grecia, dell'Irlanda, del Portogallo, della Spagna e dell'Italia: la exit strategy decisa dalla Bce imponeva alle banche di restituire i fondi prestati in via di emergenza. Si scatenò la corsa a ritirare i crediti da questi Paesi ed a vendere i loro titoli di Stato: i mercati finanziari andarono fuori controllo, con gli spread che salivano come mai prima.
Un'altra volta ancora, non ci fu alcuna solidarietà: i Paesi PIIGS erano stati abbandonati a se stessi. L'idea di emettere gli Eurobond non fu mai presa in considerazione.
La Francia e la Germania, d'intesa, pretesero politiche di rigore e di austerità senza limiti: dovevano garantire che i crediti delle loro banche verso questi Paesi fossero onorati. L'Italia venne svillaneggiata al G20 di Nizza: era un Paese sull'orlo del fallimento, che viveva al di sopra delle sue possibilità, e che doveva fare i compiti a casa.
Il Fiscal Compact è stata la medicina amara che ci è stata imposta: l'obiettivo del pareggio di bilancio, ancora mai raggiunto dalla Francia, intanto ha provocato recessione e disoccupazione dappertutto.
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