Con la firma del Trattato Trans-Pacifico, il Presidente americano Barack Obama corona con successo la strategia dei Democratici di puntare sul controllo globale dei mercati attraverso il commercio e la finanza. Nel contempo, ha smantellato l'impostazione seguita sin dalla metà degli anni Ottanta dei tre Presidenti Repubblicani, Reagan, Bush padre e Bush figlio, che avevano puntato sul controllo politico e territoriale, dapprima con la caduta dei regimi comunisti dei Paesi dell'Est europeo che aderirono prima alla Unione Europea e poi alla Nato, e quindi con gli interventi militari nel Golfo, in Afghanistan ed in Iraq.
Il sostegno alle primavere arabe da parte americana, e poi alla adesione della Ucraina alla Unione Europea, completa un percorso volto alla creazione di un nuovo fronte di instabilità verso il Sud mediterraneo e verso l'Est russo. L'Unione europea non ha così altra prospettiva di crescita né di stabilità se non all'interno del Nuovo Grande Mercato Mondiale che ha nuovamente come centro Washington ed il dollaro.
Il Toro di Wall Street prende il sopravvento sull'Aquila del Pentagono. Due altre vicende caratterizzano questo cambio di strategia: il conflitto in Siria e quello sul prezzo internazionale del petrolio.
Il rifiuto dell'Arabia Saudita di ridurre la sua produzione nell'ambito dell'OPEC, ufficializzata nella riunione del dicembre scorso, ha determinato un crollo delle quotazioni che ha danneggiato pesantemente anche la Russia. Rijad giocherebbe di sponda con Washington contro Mosca. E' pur vero, però, che è un gioco a scacchi, visto che ai prezzi recenti sono fallite e continuano a fallire numerose imprese americane che sfruttano lo shale gas, che ha costi di estrazione in equilibrio finanziario a 60/70 dollari al barile.
E' un gioco al massacro in cui, se oggi perdono comunque tutti i produttori, sarà sconfitto chi uscirà destabilizzato per primo sul piano politico: l'Arabia Saudita o la Russia. Lo shock finanziario delle compagnie americane impegnate nell'estrazione dello shale gas sarebbe invece controllabile. Fu il crollo del prezzo del petrolio, dai 104 dollari del 1980 ai 30 dollari del 1987, a determinare il collasso economico dell'URSS e la insostenibilità della occupazione militare dell'Afganistan iniziata da Mosca nel 1979. La parabola discendente dei prezzi del petrolio ora si ripete: da che superava i 112 dollari nel gennaio 2014, ora stiamo stabilmente sotto i 50 dollari. Nel frattempo, il conflitto con la Russia sul prezzo del petrolio continua: appena un paio di giorni fa, infatti, l'Arabia Saudita ha abbassato di 1,6 dollari al barile il prezzo del petrolio offerto ad alcuni Paesi asiatici.
La vicenda dell'Ucraina, con l'annessione della Crimea e le conseguenti sanzioni economiche e commerciali da parte statunitense ed europea a carico di Mosca per aver violato i principi fondamentali del diritto internazionale, hanno indebolito ulteriormente la Russia: se prima era in una duplice morsa economica, l'intervento militare in Siria potrebbe essere una altra trappola.
Il conflitto in Siria dura da ormai quattro anni. Il regime del Presidente Assad è contemporaneamente attaccato dai rivoltosi sostenuti ed armati dall'Occidente, che lo accusano di violenze efferate contro la popolazione civile, e dai terroristi dell'IS. La Russia, chiamata in soccorso da Assad per difendere il Paese dall'Is, viene accusata di colpire con i raid aerei soprattutto i rivoltosi sostenuti dall'Occidente. Gli USA, che si sono dissanguati finanziariamente per sostenere gli interventi militari in Afghanistan ed in Iraq per oltre un decennio, ora si smarcano. Dopo l'intervento di Mosca, Washington chiede agli alleati europei di subentrare.
Per la Russia, il costo economico di una campagna militare i cui obiettivi si allargassero dalla difesa della Siria al contrasto dell'Is in Iraq sarebbe assai onerosa. Per gli europei, altrettanto.
Il Toro americano torna a dominare nel Pacifico con la firma del TPP. La Russia e gli altri Paesi europei intervengono militarmente in Siria ed in Iraq: una trappola per topi.
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