(Teleborsa) - Chi si lamenta della
inefficienza nei soccorsi nei confronti dei terremotati del centro Italia, dove si sta verificando una sequela interminabile di scosse, sappia che ci sono delle
responsabilità politiche ed istituzionali ben precise.
In odio a Berlusconi ed ai Grandi Eventi, e soprattutto a quella gigantesca macchina operativa che era divenuta la Protezione civile sotto la direzione di Guido Bertolaso,
il governo Monti varò nel 2012 una riforma strutturale che ne ha modificato dimensioni, organizzazione e risorse. Anche le procedure devono essere adeguate: quando sei in emergenza, devi avere pronta una lista di ditte accreditate e chiamarle senza sosta, l’una dopo l’altra, per assicurarsi immediatamente ciò che serve. Ma bisogna avere il potere di farlo ed il denaro.
La scusa, nel 2012, fu montata ad arte dai soliti giornaloni: era il potere immenso di cui la protezione civile disponeva e la opacità delle procedure operative, dove si annidavano sperperi e loschi figuri. Ed al solito,
invece di colpire duramente i responsabili si è demolita una istituzione.
Delle tante inchieste giudiziarie non se ne è saputo gran che, ma gli effetti della riforma oggi impediscono alla Protezione Civile di utilizzare i precedenti poteri di ordinanza che superavano le procedure e consentivano di agire con immediatezza e maggiori vincolo che
ritardano l'azione.
La Riforma Monti non è quindi risultata funzionale per gestire le emergenze. Il Governo Renzi, a seguito del primo violento terremoto dell'agosto scorso, ha nominato un
Commissario alla ricostruzione con compiti sulla situazione del post terremoto. Ma le scosse sono continuate e così la ricostruzione del Commissario Errani e la gestione dell'emergenza affidata al Capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio sono finite per sovrapporsi, generando anche interferenze. Vasco Errani, infatti, doveva accelerare, ma non poteva agire, visto che non si può ricostruire prima che si sia stabilizzata la situazione del territorio, visto che le scosse demolitrici continuano, nuove faglie si aprono ed altre comunità vengono colpite.
Si doveva prevedere la sopravvivenza durante un lungo inverno di una popolazione che vive dispersa in frazioni e case isolate in un territorio ampio ed impervio: servivano gruppi elettrogeni, sistemi di riscaldamento autonomi, apparati di telecomunicazioni in grado di resistere agli eventi avversi. E non si tratta di testardi, di persone che rimangono attaccate alla loro casa o a quel che resta per spirito di martirio: ci sono allevamenti di animali, campi da coltivare, attività economiche che non possono essere interrotte. Altrimenti si perde tutto.
La questione ultima, quelle delle strade innevate ed impraticabili, con le colonne di soccorso bloccate per ore se non per giorni, dimostra che
sui luoghi colpiti non c’era più nessuno o quasi.
Bisogna domandarsi perché tutte le strade, in generale, siano rimaste così ingombre di neve: i comuni colpiti dal sisma non hanno né soldi né competenze, perché
la responsabilità è di diversi Enti; tutto intorno, la competenza sarebbe stata quasi sempre delle Province, che però sono state soppresse dal governo Renzi, lasciando al
rimpallo tra regioni e comuni il da farsi.
In pratica, nessuno ha fatto niente: nessuno si è preoccupato di tenere le strade sgombre dalla neve, ed i nuovi soccorsi dopo l’ennesima scossa non potevano arrivare.
Tra allarmi, competenze, sussidiarietà, rimpalli si sono svegliati tutti il giorno dopo, a chiedere in giro spazzaneve, lame larghe e strette, frullini e palette. Spesso di queste cose le Regioni non se ne erano mai interessate, e comunque le procedure di riorganizzazione dopo la soppressione delle province sono in itinere. Non ci sono responsabili, non ci sono direttive, non ci sono risorse.
L’inverno è appena cominciato, e
ci sono di mezzo solo i disperati: gli abitanti delle aree colpite e quanti prestano i soccorsi con mezzi insufficienti e norme inadeguate.
E dire che tutti si lamentavano della
gestione del terremoto de L’Aquila, delle
scelte bizzarre di Berlusconi e di Bertolaso. Ce ne voleva per farceli rimpiangere, e con gli effetti delle scelte successive ci sono riusciti. Al peggio non c’è mai fine.
Ora bisognerebbe sopire e tacere: è il tempo di rimboccarsi le maniche e non di fare polemiche.
E invece, no! Bisogna rimediare agli errori fatti.
Serve un atto di accusa politico, perché domani sarà pure peggio.