Si stupisce del
rallentamento dell'economia italiana solo chi ha gli occhi ben foderati di prosciutto:
il bilancio pubblico è recessivo, e non espansivo come si cerca di far credere. Il deficit di bilancio, la somma pari alla eccedenza delle spese rispetto alle entrate, non va a finanziare maggiori investimenti pubblici che creano nuova occupazione, ma unicamente a pagare una gran parte degli oneri per gli interessi sul debito pubblico accumulato.
In pratica, facciamo nuovo debito pubblico per pagare la maggior parte degli interessi che gravano sul debito contratto in precedenza. Con il deficit non si chiedono al mercato finanziario risorse ulteriori, che si aggiungono a quelle derivanti dalle tasse, per stimolare la crescita, ma si prendono somme a prestito per pagare gli interessi sul debito contratto in precedenza. Se, quindi, neppure la totalità delle tasse ritorna indietro all'economia ed il deficit serve a pagare gli interessi sul debito, è chiaro il perché il bilancio pubblico italiano esercita un impatto recessivo e non espansivo sull'economia reale.
Bastano pochi numeri per capire come funziona questo meccanismo infernale.
Nel Def per il 2016, varato ad aprile scorso, le spese per gli interessi sul debito pubblico previste nel conto economico delle Pubbliche Amministrazioni ammontano al 4% del PIL, mentre il deficit è pari al 2,3% del PIL. Il saldo primario, che rappresenta la differenza tra le entrate e le spese pubbliche depurate dall'onere per gli interessi sul debito, è pari all'1,7% del PIL.
Ciò significa che:
1) una quota delle entrate pagate come tasse, pari all'1,7% del PIL, serve a pagare una somma corrispondente di interessi sul debito (pari all'1,7% del PIL);
2) il deficit, che è pari al 2,3% del PIL, serve a pagare il resto degli interessi. Infatti, visto che il costo totale degli interessi sul debito pubblico è pari al 4% del PIL, e che la quota di interessi pagata con le tasse corrisponde all'1,7% del PIL, bisogna che lo Stato si indebiti per la differenza, per una ulteriore somma pari al 2,3% del PIL, per pagare la residua quota di interessi.
"