Tutto torna, ancora una volta: le crisi servono per realizzare una strategia di dominio. Quella greca serviva a realizzare un ferreo controllo della Germania sui Paesi dell'Eurozona, obbligandoli ad una disciplina fiscale che li ha annichiliti, facendoli precipitare per anni nella recessione. La Germania ne ha beneficiato, perché i capitali, terrorizzati dai possibili (e per lei utilissimi) default degli Stati dell'Europa meridionale, si sono riversati nelle banche tedesche. I rendimenti dei Bund sono arrivati a livelli negativi per una lunga parte della curva delle scadenze: così, con i denari degli europei, le banche tedesche hanno fatto il pieno di liquidità, le finanze pubbliche di Berlino si sono finanziate a danno degli investitori, e si stanno coprendo i buchi colossali creati da un quindicennio di gestione dissennata, con prestiti ad alto rischio un po' dappertutto. Dai titoli tossici americani, ai prestiti senza garanzia alle banche spagnole, alle esposizioni folli in Grecia.
Se non ci fosse stato il terrore della dissoluzione dell'euro, con lo spread che impazzava ed impazziva colpendo un po' tutti i Paesi europei, la crisi delle finanze pubbliche greche sarebbe stata risolta in poche battute. Ed invece serviva enfatizzarla, renderla pericolosa, far sì che la instabilità contagiasse tutti.
Anche stavolta, si è fatta propaganda, arma ben nota alla politica tedesca: l'annuncio improvviso della Cancelliera Angela Merkel, secondo cui la Germania avrebbe accolto senza limiti tutti i profughi siriani, è stato accompagnato da fotografie che ritraevano poveri bimbi con in testa i berretti dei poliziotti tedeschi mentre i loro padri ostentavano le foto della Cancelliera. E' stata una bomba mediatica, che ha messo in moto verso l'Europa balcanica milioni di persone. Prima la Macedonia e poi la Serbia sono state invase. La Ungheria ha eretto un muro di filo spinato. Siamo all'emergenza, con mezza Europa che chiude le frontiere sospendendo il Trattato di Schengen. Ci siamo: bisogna fare qualcosa di straordinario.
Tutto ricorda la mediatizzazione della pulizia etnica in Kosovo: allora era funzionale alla decisione di attaccare la Serbia. Stavolta si tratta di intervenire in Siria: alla guerra ci si prepara impressionando l'opinione pubblica, pubblicando le foto dei bimbi morti sulla battigia, le riprese delle frontiere dove i profughi sono schiacciati sui fili spinati, gli interni dei vagoni stipati all'inverosimile.
Ancora una volta occorre creare una situazione di crisi endemica, contagiare tutti i Paesi europei con il flusso di profughi, per rendere immediatamente evidente la gravità della situazione e la necessità di intervenire. Svuotata dai profughi, la Siria sarà solo un campo di battaglia, un poligono di tiro.
Ancora una volta, come già accadde per accelerare la dissoluzione della Jugoslavia, è la Germania a scuotere l'albero della guerra, combattuta da altri, ma a suo beneficio economico e strategico. Le sue relazioni con la Turchia sono secolari; l'ambizione di Ankara ad espandersi verso sud è ancora più antica, perché riconquisterebbe territori che furono dell'Impero Ottomano. Dopo aver piegato la Grecia, la Germania farebbe da sponda alle ambizioni della Turchia, che è a sua volta parte della Nato. Ma la Russia è presente militarmente in Siria, difende il regime di Assad e combatte l'Isis.
Bisognerebbe spiegare, anzitutto, chi è il vero nemico: se è Assad, i Russi presenti in Siria, oppure l'Isis. Dopo le primavere arabe e la rivolta in Ucraina, i conflitti geopolitici ai margini dell'Europa continuano, in un caleidoscopio continuamente mutevole di alleanze e di interessi in gioco.
I profughi siriani, a questo servono.
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