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Mille di queste bolle

Alla Cina serve più liquidità o più welfare? La crisi della Borsa di Shanghai rischia di essere solo la prima di mille altre bolle

Una volta era soprannominata “Greenspan Put”: per oltre un decennio, quale che fosse l'origine della crisi in giro per il mondo, economica, finanziaria o valutaria, la Federal Reserve interveniva per sollevare i mercati tramortiti. Tutto è filato liscio fino al 2008: un po' alla volta, però, la Fed aveva cercato di alzare i tassi di interesse per evitare che la bolla globale del debito crescente che era stata creata con tutta questa liquidità deflagrasse. Il fatto è che i tassi al rialzo “lavorano” anche sui prestiti e sui mutui già accordati, qualora siano stati stipulati a tassi variabili. Fu così che centinaia di migliaia di famiglie americane si trovarono sul gobbo da dover pagare rate sempre più care. Ad un certo punto cominciarono a non pagare: d'improvviso i titoli che avevano come sottostanti i mutui delle famiglie in difficoltà, divennero carta straccia. Per salvare le banche che avevano investito in questi titoli e soprattutto quelle americane che li avevano “fabbricati” ma non erano ancora riusciti a piazzarli agli investitori privati, furono guai veri.

Stavolta, in Cina, è tutto diverso: siamo di fronte ad una bolla borsistica vera e propria. A Shanghai, i valori sono aumentati del 100% in meno di un anno, con multipli Price/Ernings di gran lunga superiori a quelli considerati generosi nelle altre Borse occidentali, e con un curioso fenomeno di Ipo di imprese che si delistavano dalla Borsa americana per quotarsi nuovamente in Cina. Il gioco valeva la candela, perché a Shanghai le quotazioni erano anche doppie rispetto a quelle spuntate sulle piazze precedenti: quando c'è tanta liquidità, i prezzi salgono senza freni. Dopo la bolla immobiliare, era la Borsa il nuovo Eldorado per i cinesi.

Il fatto è che non sanno dove tenere i risparmi: se quelli depositati nelle banche ufficiali rendono poco e niente, il sistema bancario ombra offre buoni rendimenti, ma anche elevati rischi di non rivedere più i propri depositi. Un rallentamento dell'economia penalizza i debitori più esposti: se i depositanti cominciano a ritirare i propri fondi, non solo perché temono di perderli, ma soprattutto perché la Borsa cresce in continuazione, si crea una alterazione profonda nella allocazione del risparmio. L'economia reale soffre perché le banche cominciano a ritirare i crediti e si gonfia la bolla dei valori azionari. Il brutto è che molti cinesi avevano preso soldi a prestito dalle banche per investire in Borsa e poi mettevano i titoli comprati a garanzia per ottenere altri denari. Un ottovolante da cui molti sono caduti: devono vendere per restituire il credito concesso. Se il prezzo che spuntano è inferiore a quello a cui avevano comprato, i guai si fanno seri. Bisogna evitare che le banche chiedano i soldi indietro, forzando così a vendere.

Le autorità cinesi erano già intervenute appena un mese fa per bloccare le vendite in Borsa. Apparentemente, il calo si era fermato. Poi, sono state le cattive notizie sull'andamento dell'economia cinese a far cadere ancora i listini. Adesso si interviene nuovamente, riducendo la percentuale della riserva obbligatoria che le banche sono tenute a depositare presso la banca centrale: la maggiore liquidità disponibile dovrebbe allentare le pressioni.

Il problema centrale è rappresentato dall'enorme risparmio accumulato dal popolo cinese: non ha welfare, e quindi deve accantonare quote consistenti di reddito, per ragioni precauzionali. Ma tutto questo risparmio torna in giro, attraverso il credito all'economia: se tutto va bene, i risparmiatori guadagnano un piccolo interesse. Ma se c'è la Borsa che sale, ci si buttano a capofitto: investono i risparmi e magari si indebitano per guadagnare di più.

Così, in una economia come quella cinese in cui i consumi interni sono ancora assai limitati, si passa direttamente alla finanziarizzazione. La instabilità dei valori di Borsa crea così una ulteriore tensione tra i risparmiatori. Vanno rassicurati ad ogni costo, perché altrimenti tenderanno a consumare ancora meno.

Nei sistemi in cui il welfare pubblico è molto sviluppato, come in Italia, il reddito disponibile sconta prelievi fiscali e previdenziali cospicui: ma la sanità e le pensioni sono assicurate dalla solidarietà sociale ed intergenerazionale. I risparmi precauzionali sono limitati ed il sistema finanziario è gracile: ci investono in pochi, e magari solo i più abbienti. Un sistema socio-economico con un welfare pubblico assai limitato ha necessità di un elevato risparmio precauzionale: ma affinchè sia stabile nel tempo, c'è bisogno di una infrastruttura finanziaria articolata e ben vigilata. Gli Usa, nonostante tutto, hanno conosciuto crisi finanziarie a ripetizione: tutti guardano costantemente agli indici di Borsa, perché lì sono investiti tutti i propri risparmi.

In Cina è la prima volta che c'è una crisi di Borsa: dopo quella di questi giorni, ce ne saranno mille altre ancora: le autorità non intervengono mai per bloccare le bolle sul nascere. E' la ricchezza che cresce: guai a svegliare un nottambulo che cammina sul cornicione. Con il welfare pubblico nessuno si arricchisce, ma neppure rischia di cadere ogni notte dal tetto.

Dalla crisi del '29 se ne uscì con il welfare pubblico. Dalla crisi del 2008, nonostante la liquidità immessa dalla Banche centrali, non se ne esce. Si creano solo bolle, ora anche in Cina. Quella di Shanghai è solo la prima, di mille altre.


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