Non riusciamo ad uscire dalla recessione. In Italia, i Governi sembrano mosconi impazziti che continuano a sbattere contro il vetro della crisi. A ben guardare, si stava meglio quando si stava peggio. La prima follia è stata quella di considerare risolutivo il pareggio strutturale del bilancio pubblico, addirittura anticipando il raggiungimento di questo obiettivo nel 2013. Fu la lettera del 5 agosto 2012, a firma congiunta di Trichet e Draghi, rispettivamente Governatore della Bce e della banca d’Itala, a fare da ariete. Erano vent’anni, almeno, che si rimproverava l’Italia di avere le finanze pubbliche in disordine. Eppure l’Italia, anche dalla entrata in circolazione dell’euro e fino al 2007 è stato l’unico dei grandi Paesi europei a ridurre costantemente il debito pubblico, anno dopo anno, mentre la Francia e la Germania lo aumentavano. Non solo, ma lo ha fatto atraverso un enorme risparmio pubblico, la somma prelevata dalle entrate tributarie che è stata destinata al pagamento degli interessi sul debito.
E’ vero, l’economia italiana cresceva poco, ma tutto sommato aveva un livello di disoccupazione accettabile mentre lo squilibrio della bilancia dei pagamenti correnti era assai contenuto. Insomma, si chiedeva davvero l’impossibile: ridurre il debito pubblico attingendo al prelievo fiscale e crescere in fretta, come correre la maratona con lo zaino da alpino sulle spalle ed arrivare primi!
La verità è che i neoliberisti non hanno mai perdonato all’Italia la pace sociale raggiunta dopo la solidarietà nazionale, e meno ancora hanno mai mandato giù le cosiddette conquiste dei lavoratori, dal welfare alla sanità pubblica, alle scuole aperte a tutti. L’articolo 18 va eliminato, anche se non interessa più a nessuno: quando una azienda non va, non ha alcuna difficoltà a licenziare e chiudere i battenti. Serve invece il potere di licenziare il singolo dipendente. Il padronato vecchio stile ha bisogno di avere sempre il coltello dalla parte del manico, di poter minacciare il lavoratore: “Ti caccio, perché non mi servi più!”. Mentre l’Italia cresceva, con i milioni di partite Iva e di piccole e medie imprese, l’odio nei confronti della stabilità sociale è rimasto implacabile: gli imprenditori italioti, quelli incapaci di innovare e di far soldi coltivano un unico sogno: obbligare lo Stato a privatizzare tutti i servizi pubblici, per prendere il posto del ceto politico ed amministrativo che viene accusato di ogni possibile nequizia, sperpero e ruberia.
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