Meglio indebitare una società che rischiare come azionisti. Questa è la lezione dell'
IPO di Fincantieri, in cui gli investitori retail hanno sottoscritto oltre il doppio della quota loro riservata, mentre i grandi investitori hanno disertato
Grande nostalgia, in questi giorni, per le
vecchie privatizzazioni, quelle del '92-'94, quando i gioielli pubblici andavano via come il pane, dalle banche alle assicurazioni, dalle autostrade agli aeroporti. Quelli sì che erano bei tempi:
si comprava tutto a prezzi di saldo, a rischio zero e lo Stato incassava ben poco. Erano tutti monopoli o quasi.
Stavolta, c'è stato qualcuno che ha preso sul serio il mercato e tutto il bel mondo che chiede un giorno sì e l'altro pure di continuare a scommettere sul lavoro italiano e sulla capacità delle sue imprese di riprendere a crescere e dare occupazione. Sono stati presi in parola tutti coloro che osannano l'economia reale e coprono di vituperio il mondo della finanza, quello che cerca il guadagno facile scommettendo sull'andamento dei corsi per arricchirsi.
E c'è chi l'ha voluto preparare davvero un piano industriale, in vista dello
sbarco in Borsa di Fincantieri, con una
IPO in cui il capitale privato raccolto sarebbe andato ad irrobustire la società emittente, senza essere incassato dall'azionista Cassa Depositi e Prestiti. Avrebbe visto ridursi la sua quota di proprietà, rimanendo azionista di maggioranza di una società quotata in Borsa, ancora più forte.
E' arrivato così il momento della verità, la risposta ai proclami scanditi con parole alte e forti, già dimenticati non appena si conclude la consueta cerimonia fatta di
flash,
tweet e
selfies.
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