(Teleborsa) - Peso ridotto degli investitori istituzionali italiani nel capitale delle società quotate italiane, volumi azionari in calo e valutazioni compresse per le small cap, deflussi costanti da fondi PIR, limitata presenza di intermediari finanziari che scrivono ricerca azionaria, regime legale di responsabilità più gravoso rispetto alle altre autorità europee e carattere "prudenziale" dell'attività di CONSOB, maggiore incentivo all'assunzione di debito rispetto alla capitalizzazione. Sono i maggiori punti critici del mercato dei capitali italiano, che hanno spinto i principali operatori a guardare oltre il DDL Capitali in corso di approvazione e richiedere uno sforzo più ambizioso per un'ampia politica industriale che favorisca il concreto sviluppo di un mercato borsistico adeguato alle dimensioni dell'economia italiana.
Le dieci proposte sono contenute nel "Manifesto per lo sviluppo dei Mercati dei Capitali in Italia", che Teleborsa ha potuto leggere e che sarà pubblicato nei prossimi giorni. Preparato da Borsa Italiana (presidente Claudia Parzani e AD Fabrizio Testa), EQUITA Group (presidente Sara Biglieri e AD Andrea Vismara) e Bocconi (Stefano Caselli, Dean della SDA School of Management, e Marco Ventoruzzo, professore ordinario di diritto commerciale), il documento sta raccogliendo le firme di importanti operatori, studi legali e associazioni di categoria, come Intermonte, Private Equity Partners SGR, AssoNEXT, Bonelli Erede, Gianni & Origoni e Chiomenti, solo per citarne alcuni.
I firmatari ritengono che il DDL Capitali "vada nella giusta direzione e contenga elementi positivi per migliorare l'accesso delle imprese ai mercati dei capitali", ma rappresenti "soltanto un primo, anche se importante, passo nella stagione delle riforme legislative che occorrono". L'invito è ad "affrontare il problema con urgenza e determinazione, riconsiderando la strategia e adottando un progetto di riforme e proposte più ambizioso, che affronti non soltanto le tematiche dal lato degli emittenti ma anche sul fronte degli investitori e degli intermediari, del framework regolamentare cui sono sottoposte le autorità di vigilanza e del quadro fiscale".
Uno dei primi obiettivi da porsi è che gli investitori domestici siano più numerosi e rappresentino un peso più rilevante nella compagine azionaria delle società quotate italiane, almeno il 20% nel capitale delle imprese locali, in linea con quanto si osserva sul mercato francese e tedesco. Sui PIR, andrebbe eliminato il vincolo di unicità e andrebbero valutate delle iniziative volte a mantenere l'obiettivo di investimento di lungo periodo, prevenendo che si ripetano i fenomeni recenti di disinvestimento causati dall'entrata in vigore dei benefici fiscali dopo 5 anni dalla sottoscrizione dei primi PIR.
"Ma il vero nocciolo della questione è quello di ampliare il numero e le tipologie di investitori attivi nel segmento di mercato delle PMI invogliando con incentivi fiscali, azioni legislative, ma soprattutto con un'attività determinata di moral suasion istituzionale, i grandi investitori domestici a destinare parte dei propri asset al sostegno dell’economia reale rappresentata da PMI quotate", si legge nel documento.
Concretamente - viene spiegato - sarebbe sufficiente che i principali operatori italiani nei settori delle banche, delle assicurazioni, delle fondazioni, dei fondi pensione e delle casse previdenziali si impegnassero ad investire ciascuno almeno 100–200 milioni di euro in PMI quotate italiane, definite come società sotto 1 miliardo di euro di capitalizzazione, per creare un bacino di 20-25 investitori domestici in più, raddoppiando la base di investitori su questa categoria, con una liquidità aggiuntiva per almeno 3–5 miliardi di euro.
Viene anche auspicato che lo Stato, anche attraverso le sue controllate specializzate nei finanziamenti all'economia reale, metta in atto una strategia simile a quanto applicato in Francia da CDC, creando un soggetto dotato delle risorse necessarie (1 miliardo di euro) che investa in PMI quotate italiane. L'investimento potrebbe avvenire sia nella forma di diversi mandati di gestione a 10 gestori da 100 milioni di euro ciascuno, sia tramite l'investimento in PIR alternativi diretti agli strumenti finanziari quotati.
Sul fronte degli intermediari, che si sono dimezzati nell'arco di dieci anni, è necessario prevedere strumenti fiscali a supporto della ricerca, quali il credito d'imposta, che consentano - da una parte - agli intermediari di sostenere i costi della ricerca indipendente e - dall’altra - alle imprese di calmierare i costi relativi alla ricerca sponsorizzata. Inoltre, si potrebbero studiare anche strumenti mutualistici a supporto dei costi di ricerca attraverso la creazione di fondi di categoria sul modello delle recenti proposte anglosassoni, finanziati con il contributo diretto o indiretto dello Stato, di società quotate e operatori di mercato.
Per quanto riguarda la vigilanza, la proposta è di introdurre la "statutory immunity" per i funzionari di CONSOB, rispondendo per l’attività di istruttoria e vigilanza soltanto nei casi di malafede Ridefinire il modello di governance della Consob, concentrando sulla Commissione le scelte strategiche e di particolare rilevanza e delegando alla struttura operativa i compiti gestionali e decisionali su tutti i temi che non presentino criticità particolari.
In tema di fiscalità, alcune proposte sono: prevedere un provvedimento legislativo volto ad incentivare il capitale di rischio; approfondimento con la Commissione Europea sulla possibilità di incentivi sulla capitalizzazione per PMI quotande, con un "grace period" fiscale di 3 anni; rendere strutturale il Bonus IPO; riduzione della tassazione sul dividendo a fronte di requisiti minimi di permanenza nell'impresa.
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24 novembre 2023 - 11.08