Oggi vi affacciate sui mercati finanziari, cosa vi ha portato fino a qui?
"La società è nata con l'obiettivo di sviluppare in maniera innovativa un settore tradizionale, quello delle calzature e, principalmente, delle sneaker. Nel tempo abbiamo sviluppato dei software 2D e 3D che ci hanno permesso di sviluppare i campionari con la realtà aumentata, ma non solo. Abbiamo capito che era interessante collegare questo tipo di sviluppo anche alla governance della supply chain, quindi al controllo dello sviluppo dei campionari, al controllo della produzione e al controllo della logistica, soprattutto per quei marchi che non hanno una competenza specifica nelle calzature. Tutto ciò ci ha spinto a una crescita double digit dal 2016 al 2020, che ci ha portato ad aprire tre showroom internazionali, una controllata asiatica, acquisire un calzaturificio Made in Italy, brevettare il nostro software 3D, quotare il nostro primo minibond e oggi a presentarci sul mercato per dire che siamo pronti a cogliere le sfide che arriveranno dopo la pandemia, che comunque ha cambiato le regole del gioco".
La tecnologia è per voi importante internamente e nei rapporti con i clienti, in che modo?
"Noi disegniamo molto poco con carta, matita e colori - come si usa abitualmente - ma utilizziamo software foto-digitali per sviluppare modelli a livello interno, che sono poi targettizzati sul costo che deve avere la calzatura finale. È già quindi un design-to-cost con i render digitali. Dal punto di vista della condivisione con i clienti, abbiamo sviluppato un software 3D che viene utilizzato attraverso un visore e permette di connettersi a un progetto specifico. Il cliente può quindi modificare le calzature in tempo reale senza spostarsi dalla sua location o venendoci a trovare a Milano, Parigi e Hong Kong dove abbiamo le nostre sedi operative. Quando abbiamo lanciato questo format nel 2017-2018 era una cosa da marziani e veniva recepito anche male, tanto era diverso da come si era soliti fare le cose. Con il Covid questo sistema è però diventato estremamente richiesto e sempre più utilizzato dai nostri clienti e partner, diventando un vero e proprio driver di successo dell'azienda".
Avete deciso di puntare molto sull'espansione in Asia, perché?
"Il nostro gruppo è fortemente competente nelle sneaker e questo mercato vale circa 70 miliardi di dollari. Nei prossimi due anni supererà i 100 miliardi di dollari, soprattutto per l'incremento di questa categoria merceologica nei mercati asiatici (quindi Cina, India, Indonesia, Thailandia), che non sono ancora tra i top consumer a livello globale. Avendo una presenza a Hong Kong, avendo il personale qualificato in loco e l'expertise del Made in Italy e tecnologico, abbiamo diversi punti di interesse per una categoria merceologica che ha ancora un potenziale molto grande. I mercati asiatici potranno quindi essere per noi una grossa fonte di soddisfazione".
Avete brand propri, in licenza e per conto terzi, che diverso peso hanno?
"Possiamo considerare l'azienda divisa in due unit. La prima sono i marchi in licenza e marchi di proprietà, che contano oggi poco meno del 50% del fatturato. La seconda è una business unit che si occupa di progetti speciali, in quanto ci affianchiamo ai brand per sviluppare le collezioni, definire il time-to-market, il giusto prezzo, quante categorie sviluppare: qui sviluppiamo a quattro mani la collezione, la progettazione e la produzione; oggi questa seconda divisione supera il 50% del fatturato.
Con l'acquisizione di Favaro Manifattura Calzaturiera, azienda che rappresenta un'eccellenza nella produzione di scarpe da donna luxury, è nostra intenzione incrementare la produzione in outsourcing per brand premium luxury, con un servizio integrato che va dalla progettazione alla produzione. L'obiettivo è sempre di più quello di diventare uno specialista di settore per marchi del lusso che cercano questo tipo di prodotti. Cercheremo quindi dei clienti con una visibilità globale e che possano sostenere il costo di un prodotto Made in Italy, perché l'acquisizione del calzaturificio in Riviera del Brenta è la nostra interpretazione del reshoring. Non pensiamo infatti che non sia possibile effettuare tutte le produzioni in Italia, e quindi il nostro gruppo intende guardare sempre più a marchi del genere. L'IPO ci darà una grossa spinta in questo".
Come sviluppate il tema della sostenibilità in azienda?
"In due grosse macro-aree. Lo sviluppo del prodotto è sostenibile per definizione: quando abbiamo iniziato il nostro percorso di crescita e ottimizzazione del processo, abbiamo ridotto gli sprechi diminuendo i campioni, e focalizzato lo sviluppo sulle esigenze del cliente. Inoltre, solo i campionari definitivi vanno in produzione, senza che una produzione venga poi modificata, cancellata o mandata avanti e indietro.
Inoltre, nel 2019 abbiamo depositato il nostro primo bilancio di sostenibilità, dove abbiamo calato a terra il nostro format di sviluppo del prodotto digitale e implementato una politica di certificazione di materiali ecosostenibili. Ciò ci ha portato, quest’anno, a presentare la prima calzatura sviluppata totalmente in modo digitale e prodotta all'80% da materiali ecosostenibili".
Perché avete deciso di quotarvi in Borsa?
"Abbiamo deciso di quotarci in Borsa perché abbiamo il progetto ambizioso di creare un polo di eccellenza nella progettazione e produzione di sneaker Made in Italy, e possibilmente Made in Riviera del Brenta. Per effettuare questa evoluzione del processo artigianale presente in Riviera del Brenta saranno preziose le risorse dell'IPO: ci permetteranno di contaminare l'artigiano con tecnologia, digitalizzazione e sostenibilità che contraddistinguono Nice Footwear. Vorremmo infatti creare un polo 4.0 per essere pronti ad affrontare le sfide che ci attenderanno in futuro".
Il vostro percorso di crescita comprende anche crescita per linee esterne?
"Sì, contiamo di puntare su realtà medio-piccole e che in questo momento storico faticano a tenere il passo delle multinazionali con cui lavorano; in questo senso, il nostro gruppo ha i valori e il management team per poterle aggregare e farle evolvere. Ciò permetterà loro di avere una massa critica per sopravvivere in un mercato sempre più complesso. In sostanza, non guardiamo tanto a marchi, ma a realtà produttive italiane. Il target è una società con grandissimo know-how, che lavora per brand mondiali, ma che non ha saputo nel tempo unire alla capacità artigianale anche una capacità tecnica e manageriale adeguata".