(Teleborsa) - Mentre tutti si dicono d’accordo nel calmierare gli effetti della riforma Fornero, compreso il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, per il quale “Legge Fornero è fatta male” e va modificata, dal Parlamento ci si ferma alla discussione di disegni di legge che nella migliore delle ipotesi faranno lasciare il lavoro a 62 anni ma con l’assegno pensionistico fortemente decurtato. Come il ddl Damiano, al vaglio in questi giorni della Commissione Lavoro alla Camera, che prevede flessibilità in uscita permettendo il pensionamento già a 62 anni con 35 anni di contributi e penalizzazioni dell’8% (una sorta di quota 97) sull'assegno pensionistico, già ridotto all'osso: per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese. Nel comparto istruzione la situazione è da allarme rosso: turn over ridotto ai minimi termini, pur con l’età media dei docenti ormai più alta di tutti.
“Per il nostro sindacato – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - non è ammissibile cambiare le regole ogni volta: fino al 2011 si andava in pensione con l'80% a 61 anni e Quota 96. E già quello era un sistema penalizzante: basta ricordare che ancora oggi in Germania si ha diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza decurtazioni”. "E non dimentichiamo che in Italia si continua a violare il principio della parità retributiva, anche perché lo Stato paga soltanto contributi figurativi, mentre trattiene una quota nelle buste paga per corrispondere le pensioni".