(Teleborsa) - Continuano ancora le proteste in Turchia. In pochi giorni sono stati circa duecento i cortei di manifestanti che hanno affollato le piazze delle più grandi città del Paese.

La protesta, iniziata contro la distruzione del parco Gezi, sulla piazza Taksim, luogo simbolo della rivolta, è continuata per dire no alle politiche pro-islamiste del governo Erdogan, con i migliaia di manifestanti che sono stati reclutati dal "tam tam"dei social network.

Nuovi scontri fra manifestanti antigovernativi e la polizia si sono registrati, ieri pomeriggio nel centro di Ankara. I contestatori si sono avvicinati "pericolosamente" agli uffici del Premier Erdogan chiedendone le dimissioni.

I manifestanti sono stati dispersi dalla carica della polizia che contro i contestatori ha usato idranti e lacrimogeni. Il bilancio degli scontri rimane un mistero. Centinaia i feriti è forse due morti, anche se delle vittime non c'è nessuna conferma.

Un portavoce di Amnesty International Italia ha spiegato: "non sono confermate le notizie secondo le quali ci sono due morti" dopo gli ultimi scontri in piazza Taksim a Istanbul, ma "cinque persone sono in pericolo di vita per ferite alla testa", ha detto il portavoce che si appella al ministero della sanità turco per avere informazioni precise. 1700 invece gli arresti effettuati dalla polizia turca durante le manifestazioni antigovernative che si sono svolte ad Istanbul, Ankara e decine di altre città, anche se la maggior parte degli arrestati è stata rimessa in libertà, come dichiarato dal ministro degli interni Muammer Guler, citato dall'agenzia pubblica Anadolu.

E mentre la tensione rimane alta con le proteste che continuano, il premier Erdogan se la prende con i social network che sono state la cassa di risonanza per "reclutare" i manifestanti. Erdogan non esitato a definire le reti sociali "una minaccia per la società. Oggi abbiamo una minaccia che si chiama Twitter" ha affermato Erdogan in una intervista TV.