(Teleborsa) - Sui mercati europei male i principali titoli del settore dell'auto che pagano le indiscrezioni riguardo ad una ferma resistenza di Donald Trump alle richieste arrivate da varie aziende americane di alleggerire la sua posizione sui dazi sui beni importati negli Stati Uniti. Nella sua edizione odierna il Wall Street Journal in prima pagina ha evidenziato le pressioni inascoltate di diversi Ceo, che con un'attività di lobbying sotterranea stanno cercando di far cambiare idea al presidente eletto che ha più volte dichiarato (o scritto sui suoi canali social) di voler alzare le tariffe per i beni importati negli Usa una volta tornato alla Casa Bianca.

Paga in particolar modo Stellantis che a Piazza Affari perde sopra il 4%. Il gruppo è quello più esposto alle minacce di dazi di Trump. Secondo un'analisi condotta da Morningstar, Stellantis ha infatti il più grande disallineamento tra le case automobilistiche che producono per il mercato di massa: se il 26% dei volumi di vendita di Stellantis è generato negli Stati Uniti, solo il 18% delle sue autovetture viene prodotto in quel paese. Il gruppo fa forte affidamento sulle sue fabbriche in Messico e Canada, due dei Paesi messi nel mirino da Trump. Nella seduta in corso, al momento segno meno anche per Iveco e Ferrari.

Male i titoli delle tedesche. La holding Porsche perde intorno al 2,5% (scontando anche l'annuncio di venerdì di una previsione di una forte svalutazione della sua partecipazione in Volkswagen fino a 20 miliardi di euro), Volkswagen circa il 2%. Nonostante la forte esposizione verso gli Usa, in questo caso pesano le tensioni in Germania con i sindacati. Negative le performance anche di Bmw e Mercedes-Benz. Perdite contenute a Parigi per Renault, che ha un'esposizione minima verso gli Usa secondo gli analisti di Morningstar e quindi non paga le minacce del presidente americano.

Meno di un mese fa in un post su Truth Social Trump ha dichiarato di voler imporre una tariffa del 25% per le merci che arrivano da Messico e Canada se i paesi non si fossero impegnati nell'arginare il flusso di migranti e droga che superano i confini americani. Il presidente eletto ha anche dichiarato di voler alzare di un ulteriore 10% le tariffe sulle importazioni dalla Cina, rea di non contrastare abbastanza il commercio di fentanil verso gli Stati Uniti. Infine, è stato il turno dei Paesi BRICS minacciati di una tariffa del 100% per il loro impegno nel sostituire il dollaro come principale valuta internazionale.

Dichiarazioni che fanno seguito alla promessa in campagna elettorale di voler imporre una tariffa base del 20% su tutte le importazioni statunitensi.