(Teleborsa) - "È in corso una tempesta perfetta" che ha portato alla crisi del settore automobilistico italiano ed europeo. "Ci sono varie concause all’origine di questa situazione, ma non cerchiamo i responsabili in Cina o nella Tesla in Elon Musk: la colpa è di una classe dirigente politica e industriale europea che non ha avuto una visione e non ha proposto una politica industriale che andasse oltre l’esistente. E ora ne paghiamo il prezzo". Lo ha detto il professor Nicola Armaroli, Direttore di Ricerca dell’Istituto ISOF-CNR, già consulente del governo Draghi sulla mobilità sostenibile, intervistato da ENERGIA OLTRE, per capire le ragioni della crisi che sta attraversando il comparto dell’automotive.

Professor Armaroli ci racconta come si è originata questa crisi del settore auto in Europa?
"Per quanto concerne l’Italia, Il primo motivo riguarda le confuse politiche di sostegno. Incentivare l’acquisto di un’auto elettrica non ha nulla di nuovo o scandaloso: in Italia lo Stato ha generosamente finanziato l’acquisto di auto termiche fin dal 1997. Anche l’anno scorso sono stati varati incentivi in finanziaria, ma sono poi stati attivati solo a giugno e nel giro di poche ore si sono esauriti. Il problema sono dunque politiche improvvisate e malgestite, che rendono scettici i cittadini e bloccano la loro propensione all’acquisto. Il motore endotermico ha 150 anni, la consapevolezza di un ineludibile cambio tecnologico è molto diffusa. Però i governi balbettano, cercano di difendere l’esistente e il mercato viene paralizzato. A questo si aggiunge ovviamente la questione economica: l’Europa è in crisi, il prezzo dell’energia è schizzato per le guerre e le tensioni internazionali, l’inflazione è aumentata. Il potere d’acquisto dei cittadini è diminuito – in Italia più che altrove – mentre i prezzi della auto termiche sono saliti. Infine, un terzo punto di cui non si tiene abbastanza conto. Per la nostra generazione l’automobile rappresentava un’idea di libertà: a diciotto anni e un giorno ci si iscriveva alla scuola guida. Non è più così: oggi i giovani hanno interessi, prospettive e priorità diverse, l’auto è spesso considerata un bene superfluo e troppo costoso. La società cambia, non possiamo far finta di essere negli anni Ottanta".

La crisi dell’auto europea è iniziata adesso?
"No. Oltre a questa tempesta perfetta, va sottolineato che l’industria automobilista europea è in crisi da lungo tempo. L’invasione delle asiatiche di qualità – prima giapponesi, poi coreane, poi cinesi – colpisce da 30 anni, ma l’industria europea non è stata in grado, tranne rare eccezioni, di competere efficacemente, perdendo progressivamente terreno. Era chiaro da anni che il motore endotermico fosse giunto al capolinea. L’industria automobilistica europea si è fossilizzata su una tecnologia sul viale del tramonto. Nell’immaginario collettivo ancora oggi l’auto dei sogni è il ‘dieselone’ tedesco. Questo vuol dire che stiamo guardando indietro".

Come si lega il concetto di transizione del settore auto a questo discorso?
"La qualità media dell’informazione su questi argomenti è piuttosto superficiale. Ad esempio, continua a circolare la favola che il settore auto europeo sia entrato in crisi a causa dell’auto elettrica. I fatti ci raccontano un’altra storia: le aziende del vecchio continente non hanno saputo innovare e cambiare pelle. 20 anni fa, in vista di un aumento vertiginoso del mercato automobilistico, la Cina ha fatto una scelta strategica dettata da due ragioni: non diventare schiavi dei fornitori petroliferi, fronteggiare l’inquinamento atmosferico nelle aree urbane, che rischiava di diventare una miccia per rivolte sociali. Non avendo un’industria automobilistica tradizionale consolidata, i cinesi decisero di puntare su un approccio radicalmente diverso, che era diventato possibile: elettrificare il trasporto su strada. Per raggiungere l’obiettivo era essenziale padroneggiare tutta la filiera della tecnologia abilitante della mobilità elettrica: la batteria agli ioni di litio. Misero in campo tutte le risorse necessarie per dominare il settore: estrazione e raffinazione dei minerali, fabbricazione dei componenti delle celle, assemblaggio del prodotto finale e, soprattutto, ricerca scientifica e tecnologica per innovare. Tutto questo oggi permette loro di essere avanti almeno 10 anni rispetto ai concorrenti. L’Europa aveva già un problema di dipendenza dal petrolio e di inquinamento urbano, ma aveva anche una possente industria automobilistica tradizionale che, invece di perseguire cambiamento e innovazione, si è intestardita sull’endotermico. Il dieselgate, fu una sorta di funerale del motore tradizionale. Ed è semplicemente incredibile che ancora oggi, dopo 10 anni, c’è ancora chi crede che una tecnologia vecchia di 150 anni possa essere il futuro della mobilità su strada".

E come si spiega il vertiginoso aumento dei prezzi delle vetture negli ultimi anni?
"Nel 2020-2021 e nel periodo post Covid, forse lo ricorderà, si vedevano solo pubblicità di auto elettriche. Le aziende automobilistiche tradizionali avevano l’obiettivo di ridurre a 95 grammi di CO2 al km le emissioni della propria gamma entro il 2025, quindi dovevano incrementare le vendite dei mezzi a zero emissioni. Essendo però molto indietro dal punto di vista tecnologico e industriale, producevano in perdita. A un certo punto, per limitare il danno economico, hanno alzato i prezzi delle endotermiche, anche grazie a una diminuzione della produzione negli impianti europei che ha allungato i tempi di consegna, oltre che abbassare i livelli occupazionali. L’obiettivo non era eliminare il bando alle vendite endotermiche al 2035: le aziende sanno perfettamente che, a quell’epoca, il motore endotermico sarà morto e sepolto. L’obiettivo era procrastinare il termine del 2025 per lo sforamento dei limiti di CO2, che è appunto quello che ora stanno negoziando. In tutto questo, dopo il COVID, vi è stato anche un sensibile aumento dei prezzi di diverse materie prima dovuto, si diceva, al rimbalzo della domanda dopo la grande paura. Col senno di poi, possiamo dire che questo aumento sia stato, almeno in parte, artificiale e speculativo. In ogni caso, un giorno si scriveranno libri sul suicidio dell’industria automobilistica europea nel primo quarto del XXI secolo".

Parliamo della questione delle materie prime critiche di cui l’Europa si lamenta spesso come una delle ragioni che stanno portando l’industria dell’auto alla rovina
"Il tema è complesso e, anche qui, il discorso pubblico è talvolta superficiale. La Cina ha messo in piedi le filiere per produrre auto elettriche di qualità a prezzi bassi. Nei paesi poveri in cui Cina ha realizzato progetti minerari, ha avuto anche la furbizia di offrire in cambio progetti di sviluppo attrattivi, probabilmente più di quelli offerti dall’Europa negli ultimi decenni. Poi va detto che, sulle materie prime, i nostri Paesi sono piuttosto ipocriti. Le risorse minerarie nel Vecchio Continente non mancano: semplicemente, da 100 anni, l’estrazione mineraria – che è un’attività invasiva e a bassa accettabilità sociale – siamo andati a farla altrove. Eravamo ricchi, ce lo potevamo permettere. Un dato fa capire la situazione: la legge di riferimento italiana sulle estrazioni minerarie è datata 1927. Oggi l’Europa sta cercando di rilanciare l’attività mineraria. Questo permetterebbe di estrarre risorse con più elevati standard ambientali e di rispetto dei lavoratori, ma a prezzi più alti. Sarebbe però anche il modo per garantire una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti e mostrare che questo tema è cruciale per il nostro futuro industriale".

Vi sono sufficienti materie prime per fare la transizione alla mobilità elettrica?
"L’unico materiale al momento insostituibile per le batterie delle auto è il litio. Oggi le risorse di litio accertate nel mondo sono più del doppio di quelle certificate dieci anni fa, secondo lo US Geological Survey, il servizio geologico statunitense, che fornisce i dati di riferimento. L’obiettivo dell’Europa è quello di attivare l’estrazione del litio sia da miniere che da risorse geotermiche. Non potremo diventare indipendenti, ma sicuramente riusciremmo a coprire un 10-20% circa delle nostre necessità, garantendo scorte in caso di problemi di approvvigionamento". L’uso del cobalto viene invece progressivamente marginalizzato e al momento c’è addirittura un eccesso di offerta. Per nichel, ferro, fosforo, manganese e grafite – gli altri materiali chiave per le batterie – non vi è rischio di disponibilità, anche nel lungo termine. La buona notizia è che le batterie sono chimicamente modulabili; quindi, c’è ancora un enorme margine di miglioramento e di abbassamento dei costi, grazie all’innovazione."

Qual è dunque la strada da intraprendere?
"Il punto chiave è che le batterie e i convertitori rinnovabili (pannelli fotovoltaici, impianti eolici, ecc.) che le debbono alimentare sono riciclabili. Benzina e gasolio, invece, non lo sono. Una volta usati, gli idrocarburi diventano istantaneamente CO2, alimentando il cambiamento climatico. Le batterie, invece, non solo durano molto di più di quanto inizialmente si pensasse, ma il litio inserito nell’accumulatore il giorno in cui è stata fabbricata la cella della batteria, è identico in quantità a quello presente a fine vita; posso quindi estrarlo e utilizzarlo di nuovo. Il litio già estratto fa parte per sempre delle risorse di cui disponiamo. Oggi si estraggono 3,4 miliardi di tonnellate di petrolio l’anno per alimentare il sistema dei trasporti. Il litio attualmente impiegato per le auto elettriche, che sono circa il 20% del venduto mondiale, è pari a 150 mila tonnellate. Stiamo parlando di una quantità 22.000 volte inferiore. In altre parole, le quantità di risorse minerarie necessarie per l’auto elettrica sono enormemente più basse. E soprattutto – insisto – sono riciclabili e non dissipate per sempre, come il petrolio. Senza contare che la produzione elettrica è sempre più rinnovabile (in Italia e in Europa siamo ormai prossimi al 50%). Quindi l’auto elettrica, nel tempo, avrà un impatto ambientale sempre più basso".

Resta il fatto che l’estrazione mineraria ha un impatto considerevole. Cosa dovrebbe fare l’Europa?
"Certamente c’è un serio problema di sostenibilità dell’estrazione mineraria, ma non da oggi: qualcuno si è mai preoccupato se l’estrazione del nichel e dei metalli per fabbricare il motore endotermico è rispettosa dell’ambiente? L’estrazione mineraria è un problema solo quando riguarda l’auto elettrica, le batterie e i pannelli fotovoltaici? Per quanto riguarda il fine vita delle auto elettriche, sarà un problema che ci investirà fra non prima di 10-15 anni. Sapendo che andremo in quella direzione, occorre avere la lungimiranza politica e socio-economica per far sì che il concetto di rinnovabili riciclabili entri nel sistema industriale europeo. L’ultima cosa che dovremo fare, a quell’epoca, sarà rispedire auto elettriche, batterie, impianti rinnovabili in Cina per il riciclo, per poi andarli a comprare di nuovo da loro. La filiera del riciclo – che è un aspetto strategico cruciale della mobilità elettrica – va pensata adesso. Dobbiamo farci trovare pronti. Non avremo alibi se ci faremo trovare impreparati anche questa volta".

Chi rema contro la mobilità elettrica?
"L’80% del petrolio alimenta il sistema dei trasporti, oltre il 60% va nel trasporto su strada. L’elettrificazione è una minaccia esiziale per l’industria petrolifera, che sta facendo di tutto per rallentare la diffusione dell’auto elettrica. Sia chiaro, non mi sorprendo, né mi scandalizzo: ogni settore industriale tutela i propri interessi. Mi sorprendo invece dei difensori del motore endotermico – talvolta opinionisti che si definiscono "progressisti" – che, in ultima analisi, difendono gli interessi dei petrolieri. Dobbiamo essere grati al petrolio per aver alimentato uno sviluppo economico senza precedenti, negli ultimi 100 anni. Oggi però i danni superano i vantaggi: è il momento di voltare pagina. Spendiamo da decenni fiumi di denaro per importare petrolio. Oggi un manipolo di dinastie, dittatori e autocrati che abbiamo arricchito a livelli spaventosi compra a mani basse nostri asset a suon di petrodollari: eccellenze industriali, banche, persino calciatori e manifestazioni sportive. C’è il forte dubbio che parte di questo denaro finanzi organizzazioni terroristiche. Nel frattempo, l’auto endotermica è assurta a difensore dei più poveri, che non possono permettersi un’auto elettrica (che in realtà, con un costo di manutenzione nettamente più basso, costa già complessivamente di meno). Silenzio tombale su decenni di sanguinose guerre per il petrolio, 7000 miliardi di euro l’anno di sussidi ai combustibili fossili, milioni di morti per inquinamento nelle aree urbane, specie tra i più indifesi. L’auto elettrica non è la cura di tutti i mali, ma qualcuno sa spiegarmi cosa c’è da difendere nel sistema dei trasporti basato sul petrolio?"

Professore ci sono soluzioni invece per la crisi dell’auto che possono essere prese ora?
"L’industria automobilistica è innanzitutto manifattura e conoscenza, cosa che una volta la Cina non aveva e adesso ha acquisito. L’industria europea è da sempre manifattura e conoscenza, l’Europa però deve svegliarsi dal torpore e avere la capacità di elaborare progetti innovativi e portarli fino in fondo. Cosa che non sta avvenendo, come vediamo con la vicenda Northvolt, azienda che doveva aprire la strada alla riscossa europea sulle batterie e che invece è sull’orlo del fallimento. Una volta definito un progetto industriale, Cina e Stati Uniti vanno a una velocità molto superiore alla nostra. Oggi però la lentezza europea è diventata una condanna: una volta sopperivamo con la qualità, ma non è più una nostra esclusiva. Dobbiamo decidere se il Vecchio Continente vuole ancora avere un futuro industriale o si accontenta di ridursi a destinazione turistica. Oggi in settori di punta come automotive, elettronica o ICT non contiamo quasi più nulla. Ma siamo noi ad aver abbandonato il campo e siamo noi a dover decidere se e come ripartire. Non ci mancherebbe nulla per poterlo fare".

Qual è il sistema dei trasporti sostenibile che lei sogna?
"Il sistema dei trasporti su strada è al collasso: è sotto gli occhi di tutti. Certamente l’obiettivo non può essere quello di sostituire 1:1 un’auto termica con un’auto elettrica: ci ritroveremo con un sistema dei trasporti più sostenibile, ma sempre al collasso. L’obiettivo è promuovere la mobilità di massa in tutte le sue forme, a cominciare dalle aree urbane. Il numero di auto deve complessivamente diminuire, ma è evidente che in un Paese come l’Italia, con tantissimi piccoli centri abitati sparsi lungo tutto lo Stivale, l’automobile continuerà ad avere un ruolo rilevante. Va ridotto l’uso dell’automezzo individuale, elettrificando il più possibile ogni forma di spostamento di cose e persone: trasporto pubblico, trasporto merci, trasporto individuale. Servono visione e grandi investimenti. Ne parliamo da decenni, forse è ora di cominciare a fare sul serio".