(Teleborsa) - Il golden power in Italia è stato "ideato adducendo motivi di sicurezza dello Stato, ma anche come strumento per correggere taluni effetti indesiderati del libero mercato sulle imprese e sui lavoratori nazionali. Questo ampliamento solleva problemi delicati di individuare i confini tra le due funzioni per non ostacolare l'azione del nostro modello di sviluppo". Lo ha affermato Paolo Savona, presidente della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) all'evento di Mediobanca su "Golden Power tra diritto, mercato e politica industriale".

"Il protezionismo è sempre latente, con diverso grado di incidenza politica, nella cultura di (quasi?) tutti i paesi del mondo, Italia compresa, alimentato dal convincimento che la concorrenza mossa dall'estero, se spiazza le produzioni nazionali, è distorta da comportamenti sleali (unfair) che vanno contrastati - ha spiegato - In un mondo organizzato in Stati sovrani basati sulla triade "identità nazionali, confini e corpo autonomo di norme", la domanda dei propri cittadini di esser protetti può essere calmierata solo da accordi internazionali (ad esempio quelli dell'EU e del WTO)".

"Nessuno mette in dubbio che lo Stato debba provvedere alla sua sicurezza, ma se il concetto si amplia per accogliere la sicurezza delle imprese, nascono sovrapposizioni istituzionali con le funzioni di altri organi delegati al buon funzionamento dell'economia di mercato", ha aggiunto Savona.

Nel caso specifico della governance societaria "occorre conciliare le norme ordinarie di sicurezza delle imprese e dei risparmiatori e quelle speciali per la sicurezza dello Stato - ha sostenuto il CONSOB - Un esempio valga su tutti: in occasione di una vicenda che ha scisso il controllo societario dal governo dell'impresa è emersa una inconciliabilità tra il dettato del TUF e quello del golden power, da cui deriva l'urgenza di un'iniziativa che conduca a una trattazione congiunta del problema".

Secondo Savona è anche "complesso" stabilire "che il golden power richieda un disegno strategico di politica industriale; su questa necessità gli economisti non concordano: chi la vede incorporata nelle scelte generali di politica economica e chi invece in scelte specifiche di interventi settoriali partendo dallo stato della produzione nazionale. Sul tema i politici mostrano maggiore concordia, ritenendo che gli Stati debbano indicare dove intendono puntare le proprie e altrui risorse, pur non esistendo evidenza empirica che essi sappiano farlo meglio degli operatori di mercato, come testimoniano i fallimenti degli uni e degli altri".