Le evidenze emerse dallo studio presentano una situazione generalmente positiva per le imprese. Vincenzo Esposito, amministratore delegato di Microsoft Italia, ha infatti dipinto un quadro incoraggiante dell'impatto dell'intelligenza artificiale generativa, sottolineando come "la totalità delle aziende che abbiamo testato abbia applicato o stia applicando l'intelligenza artificiale, con un conseguente aumento della produttività” che, se nel 47% dei casi è di circa il 5%, in alcuni casi supera il 20%”.
"L'IA non è un sostituto, ma un copilota", ha affermato Esposito, "ci aiuta a fare meglio il nostro lavoro, amplificando le nostre capacità". L'amministratore delegato ha poi evidenziato come questa tecnologia stia b, ma in modo positivo: "Alcuni lavori cambieranno, altri si evolveranno, ma il saldo netto sarà positivo". L’aumento di produttività derivante dalla AI sarà soprattutto indispensabile per sopperire al calo demografico, che dovrebbe portare nel 2040 ad un gap di 3,7 mln di lavoratori, dato da un numero sempre maggiore di persone che andranno in pensione, circa 10 milioni, a fronte di un numero di nuovi lavoratori, pari a meno di 6,3 milioni, insufficiente a sopperire alle uscite per via della crisi demografica.
L’AI è quindi una necessità, non solo per restare competitivi con il resto del mondo, ma anche per mantenere produttivo il sistema paese. La buona notizia è che le barriere all’ingresso non sono onerose e gli investimenti per entrare nel mondo della AI, anche a livello industriale, non sono assolutamente proibitivi. Esposito ha sottolineato infatti come il cloud computing stia semplificando l'ingresso nel mondo dell'IA, rendendolo accessibile anche alle piccole e medie imprese.
"Il rapporto costi-benefici è molto favorevole", ha spiegato, "e il rischio è contenuto". L’AI generativa è infatti utilizzata ampiamente per ottimizzare operazioni ricorrenti e ripetitive, aumentando sensibilmente la produttività dei lavoratori. Se alcune applicazioni di intelligenza artificiale, come la Data Analysis e i Big Data, richiedono investimenti in formazione e strumenti specifici (che in realtà, è bene specificarlo, diventano sempre meno onerosi), l’AI generativa richiede invece un training estremamente ridotto, e porta aumenti di produttività, secondo lo studio, in tempi estremamente rapidi, richiedendo investimenti tutt’altro che importanti. Gli strumenti più diffusi inoltre sono tutti offerti in abbonamento, quindi il rischio legato all’investimento è quasi a zero.
A sostegno di questa tesi, Esposito ha citato esempi concreti di aziende italiane che stanno già sfruttando l'AI per migliorare i propri processi e prodotti, come SACE, azienda che agevola le esportazioni di aziende estere in Italia, che è riuscita ad ottimizzare e velocizzare le proprie procedure interne grazie alla AI, oppure come il consorzio del prosecco, che ha addestrato un modello AI per riconoscere le etichette dei vini “certificati” e contrastare l’italian sounding.
Nonostante le opportunità, Esposito ha sottolineato l'importanza di investire nelle competenze. "L'Italia deve continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo di grandi modelli linguistici", ha affermato, "ma allo stesso tempo le aziende devono capire dove posizionarsi nella catena del valore per cogliere le opportunità offerte da questa tecnologia".
L'Italia è in ritardo sul know-how relativo all’AI, con il 63% degli imprenditori che riconosce che le competenze in merito non sono ancora sufficientemente diffuse. Il problema deriva anche da una carenza formativa: l'Italia occupa il settimo posto in Europa per i programmi di studio dedicati all'AI, in un contesto europeo comunque fortemente in ritardo rispetto a Cina, India, Stati Uniti e Regno Unito. Questo divario posiziona il nostro paese solo al 16° posto tra i Paesi OCSE per la diffusione di competenze legate all'AI. Questa tendenza non solo indebolisce la capacità di innovazione dell'Italia, ma mette anche a rischio la sua competitività futura.
Il ritardo nelle competenze è trasversale e non riguarda solo le aziende ma anche le istituzioni. Questo si riflette in un ritmo degli investimenti in AI in Italia drasticamente insufficiente. Nel 2023 solo il 4% dello sviluppo globale dei modelli di AI Generativa (i cosiddetti “Foundation Model”) proviene dall’Europa, mentre dagli Stati Uniti, che sono in testa, ne proviene il 69%; questo dato diventa ancora più drammatico se si pensa che i foudation model disponibili nel 2022 erano 72, mentre nel 2023 erano 149: una crescita a tripla cifra a cui l’Europa praticamente non ha contribuito. L'ecosistema AI italiano si classifica di conseguenza al 20° posto a livello mondiale in termini di investimenti in startup e scale-up, mentre solo due università italiane sono classificate tra le prime 70 a livello mondiale per i programmi di studio sull'AI.
L'intelligenza artificiale generativa rappresenta una rivoluzione in atto, che sta trasformando profondamente il modo in cui lavoriamo e facciamo business. Secondo lo studio, le imprese italiane hanno un'opportunità unica per sfruttare questa tecnologia e migliorare la propria competitività a livello globale, ma è fondamentale il supporto delle istituzioni, che devono assumere un ruolo strategico nel coordinamento dello sviluppo e della crescita dell'AI, integrandola nella programmazione economica e industriale di medio-lungo periodo. Tali istituzioni possono giocare un ruolo importante nel garantire che l'AI diventi un elemento portante della crescita e dello sviluppo futuro del Paese, rafforzandone la competenza e il potenziale, in un contesto globale che sfrutta sempre di più l’avanzamento tecnologico come strumento per reagire alla crisi ed all’instabilità geopolitica.