(Teleborsa) - Nell’ambito del progetto RECIProCO finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ENEA ha sviluppato una nuova metodologia di analisi per valutare l’impatto delle industrie sulle risorse idriche locali, come fiumi e laghi. I test - spiega la nota - sono stati condotti in Italia su due cartiere e un’industria tessile e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Journal of Environmental Management. Le due cartiere dove è stata testata la nuova metodologia si trovano nei sottobacini del Brenta-Baccaglione (Veneto) e dell’Arno (Toscana), mentre l’impresa tessile è ubicata nei pressi del fiume Ticino (Lombardia).


La metodologia elaborata dal team di ricerca ENEA prevede il calcolo di tre indicatori in grado di restituire una ‘fotografia’ dell’impatto degli usi idrici industriali sui bacini e sottobacini: il primo è l’Indice di stress idrico di consumo e prelievo (Water Consumption Stress Index - WCSI), il secondo è l’Indice di impatto totale dell’insediamento industriale (Overall Factory Basin Index - OFBI) sul bacino idrografico locale, infine, il terzo è l’Indice di riuso idrico aziendale (Internal Water Reuse - IWR).

“In generale questi due settori produttivi si caratterizzano per un elevato consumo di acqua ma esiste chiaramente una differenza nell’equilibrio delle risorse idriche tra i sottobacini considerati: l’Arno è quello che presenta le maggiori criticità per lo sfruttamento idrico, la quantità d’acqua disponibile e la variabilità stagionale”, spiega Luigi Petta, responsabile del Laboratorio ENEA di Tecnologie per l’uso e gestione efficiente di acqua e reflui e coautore dello studio insieme ai ricercatori Gianpaolo Sabia, Davide Mattioli e Michela Langone.


Nello specifico, l’analisi dei tre sottobacini ha evidenziato una significativa differenza tra il Nord Italia caratterizzato da uno stress idrico contenuto e il Centro Italia che presenta invece situazioni di sofferenza idrica medio-alta, anche se la situazione più critica si registra in Sicilia e in gran parte della Puglia e della Basilicata.

Per quanto riguarda l’impatto totale dell'insediamento industriale, l’indice OFBI varia da un minimo dell’azienda tessile lombarda sul bilancio idrico del Ticino (0,002%) a un massimo della cartiera toscana sull’Arno (0,192%), che però risulta la più virtuosa in termini di riuso idrico (98%).

“Sulla base di questi casi di studio, la metodologia che proponiamo è quindi in grado di valutare l’impatto effettivo di uno specifico insediamento produttivo su fiumi, laghi e falde acquifere e di fornire così alle amministrazioni locali, ai consumatori e alle stesse imprese informazioni utili per conoscere e valutare l’impatto sullo stress idrico locale”, sottolinea Petta. "L’incremento della popolazione e il cambiamento climatico sono tra le cause principali di un’insostenibile pressione sulle riserve idriche a livello globale: la domanda annuale di acqua è di circa 4.600 miliardi di m3 ma entro il 2050 potrebbe arrivare a sfiorare i 6.000 miliardi di m3 l’anno. Risulta quindi essenziale identificare metodologie affidabili per valutare l’impatto delle attività, in particolare quelle industriali, sulle risorse idriche locali anche per supportare l’adozione di nuovi modelli produttivi e di consumo che minimizzino l’uso dell’acqua”, conclude l'esperto di ENEA.

In Italia - spiega la nota ENEA - ogni anno l’industria consuma circa 5,5 miliardi di m3 di acqua (il 21% dei consumi totali), anche se l’agricoltura resta il settore a più alta intensità idrica con 14,5 miliardi di m3 di acqua utilizzata (oltre il 50%)[2]. Si tratta di un trend che rispecchia in parte l’andamento europeo, dove i consumi di acqua (214 miliardi di m3 l’anno) sono riconducibili alle attività agricole (58%), al raffreddamento (18%), all’industria (11%), agli usi civili (10%) e ai servizi (3%).