(Teleborsa) - Finestre per l'uscita anticipata, per esempio a 62 o 63 anni, con un congruo numero minimo di anni di contributi, ma anche incentivi per chi decide di restare con un aumento in busta paga che potrebbe essere anche del 10%. Sarebbero questi – secondo quanto riporta il Corriere della Sera – i pilastri dell'ipotesi di riforma delle pensioni sul tavolo del Tesoro.
"Un lavoratore che abbia maturato i requisiti – spiega il quotidiano – potrebbe scegliere di restare sulla base di incentivi ben precisi: se continua a lavorare, il dipendente e il datore smettono di versare i contributi e una parte di quelle somme entrerebbe in busta paga come aumento netto di stipendio (per esempio, di circa il 10%)". L'azienda potrebbe, così, godere di un calo del costo lordo del lavoro, il dipendente di una busta paga più alta. Il pensionamento avverrebbe sulla base dei contributi accumulati fino al momento in cui il lavoratore ha scelto questa opzione, senza contare l'anzianità degli ultimi anni di lavoro incentivato.
In base a tale sistema, andare in pensione prima dei 67 anni comporterebbe, invece, una penalizzazione rispetto alla totalità dell'assegno previsto.
"A gennaio non si tornerà pienamente alla legge Fornero. Avremo una Quota 41 con 61 o 62 anni per il solo 2023, come misura ponte verso la riforma organica che faremo il prossimo anno. Spenderemo meno di 1 miliardo per agevolare 40-50 mila lavoratori. Pensavamo anche a un bonus per chi resta a lavorare, ma la prudenza di bilancio ci induce a rinunciare – sottolinea in una intervista a Repubblica Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro –. In manovra metteremo una formula che evita lo scalone di gennaio per un gruppo di lavoratori. Quota 41 ci sarà e questo è importante: la stiamo studiando nei dettagli con la ministra del Lavoro. Ape Sociale e Opzione Donna saranno prorogate per un altro anno perché siamo in una fase transitoria. E perché poi arriverà la nostra riforma delle pensioni: lì ristruttureremo tutto quello che c'è".
Sul taglio del cuneo fiscale – prosegue Durigon – "vogliamo arrivare a cinque punti in meno nel quinquennio. Per ora ragioniamo sui due punti. Ma non abbiamo deciso se fermarci ai 35mila euro di reddito dei lavoratori, come ha fatto Draghi, o andare più su. E valutiamo se dare una parte del risparmio, nella misura di un terzo, anche alle imprese. Dipende dalle risorse a disposizione e dall'impatto sui lavoratori: non deve essere irrisorio. La priorità restano in ogni caso le bollette".