(Teleborsa) - "Il mondo del diritto è spesso, ed inevitabilmente, in ritardo rispetto alle nuove tecnologie, al cospetto delle quali o si applicano regole già esistenti – scoprendole dotate di una portata applicativa che lo stesso legislatore, al momento della loro entrata in vigore, non aveva prospettato, né avrebbe potuto prevedere – o se ne introducono di nuove. Se guardiamo alla storia ed alla evoluzione della blockchain, dal debutto del Bitcoin nel 2009 all'affermazione di Ethereum, e a tutto il mondo della DEFI che si è sviluppato fino ad oggi, vi è una particolarità rispetto al passato: applicare regole esistenti o elaborarne di nuove è assai più complesso, in quanto alla base di queste nuove tecnologie vi sono concetti che, per chi non opera nel settore, appaiono oscuri e spesso controintuitivi, ma soprattutto non hanno niente in comune con i casi regolati dalle vigenti disposizioni". Ad analizzare le modalità attraverso le quali il diritto italiano, e in particolare quello tributario, vede le criptovalute ed i fenomeni legati alla blockchain, dalle pretese dell'Agenzia delle Entrate al punto di vista del Giudice civile, è Carlo Cicala, avvocato partner dello Studio Legale Cicala-Riccioni & Partners, recentemente intervenuto sul tema al Crypto Expo Milan (CEM).
Qual è, dal punto di vista giuridico, il principale problema che pone attualmente il mondo della blockchain?
"Tra i comparti del diritto che per primi si sono dovuti misurare con le sfide poste e le incertezze sollevate dalle nuove tecnologie vi è senz'altro quello tributario, dove – per definizione – si tende sempre a cercare una regola 'ad ogni costo'. La parte tax, di fronte ad ogni nuovo fenomeno, è quella che si impone per prima. Le Autorità fiscali, compresa la nostra Agenzia delle Entrate, non possono sottrarsi dal confronto con le nuove fattispecie e i relativi problemi. E sono chiamate a rispondervi in tempi assai rapidi, visto che ogni anno si presenta la dichiarazione dei redditi, e che i contribuenti chiedono istruzioni".
Sul fronte delle imposte dei redditi e dell'IVA quali sono le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate?
"Per quanto riguarda gli exchange, l'attività di cambio crypto/FIAT non è soggetta ad IVA, estendendosi ad essa il regime di esenzione previsto per i 'cambiavalute' tradizionali. Questa posizione dell'Agenzia delle Entrate deriva da una notissima Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale nel 2015 ha qualificato le crypto come 'mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento tradizionali'. Venendo alle imposte sui redditi, il ricavo dell'Exchange, cioè il suo margine rispetto al prezzo medio, costituisce un ricavo di esercizio, e viene considerato, e tassato, come componente positiva di reddito. Per quanto riguarda gli investitori l'Agenzia delle Entrate ritiene che il possesso di criptovalute sia assimilabile – a determinate condizioni – al possesso di valute estere. È dunque necessario, anzitutto, indicare l'importo che si possiede nel quadro RW della dichiarazione (obbligo di monitoraggio). Il che non vuol dire che si debbano necessariamente pagare imposte, ma in caso di mancata segnalazione nel Quadro RW le sanzioni sono piuttosto elevate. Quanto ai risvolti reddituali, e sempre seguendo le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate, l'obbligo di pagare imposte può nascere – come per il caso del possesso di valute estere – soltanto se la giacenza media nei wallet superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d'imposta. Il che ancora non vuol dire che si debbano pagare imposte. L'imposta è effettivamente dovuta, infatti, solo se dallo scambio (cessione 'a pronti') di valute virtuali si realizza una plusvalenza, da assoggettare ad imposta sostitutiva del 26%. 'Holdare' valute non determina l'applicazione dell'imposta, mentre anche lo scambio crypto/crypto (se si verifica una plusvalenza), secondo l'impostazione dell'Agenzia delle Entrate, determinerebbe l'applicazione dell'imposta".
L'assimilazione tra le valute tradizionali FIAT (estere) e criptovalute da parte dell'Agenzia delle Entrate è corretta?
"Le due 'valute' sono qualcosa di completamente diverso. Basti ricordare che, differentemente dalla valuta FIAT, il 'possesso' di una crypto – salvo il caso in cui sia custodita dall'exchange – comporta la titolarità di un indirizzo privato cui, nelle blockchain, corrisponde una determinata quantità di 'valute virtuali'. Nulla a che vedere con le 'valute estere', né con la titolarità di conti correnti presso banche e tantomeno con la detenzione di contanti. Inoltre l'assimilazione delle crypto alle 'valute estere', che l'Agenzia delle Entrate sostiene sin dal 2016, è stata smentita dalla stessa definizione di 'valute virtuali' offerta, nel 2019, e su impulso della normativa unionale, dal legislatore italiano, in materia di prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose (c.d. disciplina 'antiriciclaggio'). La 'valuta virtuale' è stata, infatti, definita come una 'rappresentazione digitale di valore' da usare come 'mezzo di scambio' o per 'finalità di investimento'. Dunque, in base alla stessa legge italiana, e nel solco delle indicazioni promananti dalle istituzioni europee, siamo ben distanti dalle 'valute estere', che, per loro natura, sono un 'mezzo di pagamento' e non un 'mezzo di scambio'. L'Agenzia delle Entrate, tuttavia, ha ribadito la sua posizione anche nel 2021, noncurante della diversa soluzione normativa invalsa, come visto, e sia pure in altro comparto giuridico, due anni prima, inconciliabile con la pretesa assimilazione della 'valuta virtuale' alla 'valuta estera'. Ma c'è di più. Tutta la disciplina che l'Agenzia delle Entrate ritiene di applicare (sia per quanto riguarda il monitoraggio che, soprattutto, per quello che riguarda la tassazione) fa riferimento a 'valute estere' detenute su (e poi prelevate da) depositi o conti correnti. Ci si riferisce, dunque, a casi nei quali, come nel deposito o nel conto corrente, il contribuente ha affidato ad un terzo la custodia delle proprie valute. Tuttavia nel mondo delle crypto questo può benissimo non accadere, potendosi custodire le chiavi private anche tramite un wallet hardware personale. In questi casi si fuoriesce, quindi, ancor di più dal campo di applicazione della norma".
Le criptovalute sono pignorabili?
"Anche su questo fronte si aprono, dal punto di vista pratico, diverse criticità, la maggior parte delle quali legate proprio alla difficoltà di assimilare le crypto alle valute tradizionali. In linea generale, la detenzione di valute affidata ad un terzo stabilisce un rapporto di credito tra me e il terzo. Io, in altre parole, sono creditore della mia banca di una somma corrispondente alle somme che ho depositato. Questo consente ai miei creditori, se hanno ottenuto un titolo giudiziale, ad esempio un decreto ingiuntivo, di pignorare il mio credito verso la banca, cioè di fare in modo che i soldi che la banca mi deve vengano pagati al mio creditore. È un fenomeno, quello del pignoramento del conto corrente, che tutti conosciamo e che integra un caso particolare del pignoramento presso terzi. Nel caso di crypto detenute (cioè le cui chiavi private sono custodite) presso un wallet hardware personale, non c'è nessun terzo presso cui eseguire il pignoramento, ed il pignoramento presso terzi è quindi impossibile. D'altro canto, è estremamente difficile, se non impossibile, dal punto di vista tecnico, pignorare le criptovalute presso il debitore, cioè presso il suo titolare, come invece si potrebbe fare per qualsiasi bene mobile come oro, orologio, denaro contante".
L'applicazione alle criptovalute dell'imposta prevista per le plusvalenze delle giacenze in “valute estere” può essere contestata?
"L'impostazione dell'Agenzia delle Entrate è criticabile, dal momento che, a ben vedere, una norma fiscale specifica, che confermi la posizione assunta dal Fisco italiano, non esiste. Ed invero, alla Camera ed al Senato sono state presentate due proposte molto simili, che espressamente prevedono l'obbligo di monitoraggio, e sempre espressamente prevedono che le plusvalenze concorrono a formare il reddito imponibile. Nessuna di tali proposte, tuttavia, si è, ad oggi, tradotta in Legge. Di fronte a questo vuoto normativo,la risposta dell'Agenzia delle Entrate è stata, finora, quella di applicare, comunque, alle criptovalute, anche a costo di 'forzarla', la disciplina prevista per una fattispecie (asseritamente) 'assimilabile', e dunque per le 'valute estere'. Attualmente è, quindi, in astratto, possibile contestare l'impostazione erariale, sostenendo che non sia possibile applicare alle crypto l'imposta prevista per le plusvalenze delle giacenze in 'valute estere'. La sede per farlo è quella delle Commissioni Tributarie, e cioè innanzi ad un Giudice terzo ed imparziale tanto rispetto al Fisco quanto al Contribuente, il quale potrebbe domandare l'annullamento della pretesa tributaria sul presupposto che, difettando una norma fiscale specifica che assoggetti a tassazione le crypto, nessuna imposta è dovuta e, comunque, nessuna sanzione potrebbe applicarsi, stante l'obiettiva incertezza normativa e la doverosa tutela dei legittimi affidamenti. Del resto, e come visto, sono tuttora in fase di discussione delle proposte di legge: se si avverte il bisogno di introdurre una disciplina ad hoc, se ne può trarre la conclusione che quelle attualmente in vigore non consentono di tassare le crypto. La questione, in sostanza, si inserisce tra due principi costituzionali: quello stabilito dall'art. 23, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, e quello contenuto nell'art. 53, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva".
Quali possono essere gli ostacoli sul piano pratico?
"Innanzitutto il Fisco ha la possibilità di emettere atti esecutivi senza alcun controllo giudiziale preventivo. Il contribuente - investitore può impugnare l'accertamento innanzi alle Commissioni Tributarie e chiedere al Giudice che l'esecutività dell'accertamento venga sospesa durante le more del giudizio. Ma, nello stesso tempo, deve attivarsi sostenendo i costi di un ricorso e confidare nel suo buon esito. Se non si attiva, diventa definitiva la pretesa dell'Agenzia. Inoltre, nel nostro sistema, dove il precedente giudiziario in linea di massima non è vincolante, non è possibile prevedere l'esito di un giudizio tributario e, soprattutto, è possibile che casi identici vengano decisi in modo diverso da Commissioni Tributarie diverse. Possono volerci anni perché si raggiunga un criterio di decisioneuniforme. E, in caso di soccombenza in giudizio, il rischio è quello di vedersi costretti a pagare l'imposta non versata e le sanzioni (che sono pari almeno al 90% dell'imposta non versata). È teoricamente possibile che nel corso del giudizio le sanzioni vengano eliminate per 'incertezza normativa', ma nella casistica giudiziaria non è molto frequente. Infine, se è vero che la stessa definizione normativa data nella disciplina 'antiriciclaggio' fornisce un ottimo argomento per negare l'assimilazione delle criptovalute con 'valute estere', bisogna tener conto che non sempre ciò che vale in un settore dell'ordinamento giuridico rileva anche nell'ambito del diritto tributario. Può ben darsi, quindi, che nell'ambito del diritto tributario si imponga una qualificazione delle ‘valute virtuali' diversa da quella valida in altri settori".
Ci può essere un'altra strada?
"Resta ferma, nel contesto di oggettiva incertezza fin qui illustrato, per quanti, per massima prudenza, intendano versare o abbiano già versato le imposte sulla base delle qualificazioni e nella misura richiesta dall'Agenzia delle Entrate, la possibilità di presentare un'istanza di rimborso, il cui diniego è atto autonomamente impugnabile innanzi alle Commissioni Tributarie".
Crypto & TAX: il punto di vista dell’Agenzia delle entrate (e la relativa contestazione)
L'intervista all'avvocato Carlo Cicala relatore al Crypto Expo Milan 2022 (CEM)
22 luglio 2022 - 18.23