(Teleborsa) - "L'Agenzia delle entrate restringe l'ambito di applicazione dell'esenzione fiscale applicabile ai trasferimenti di società o aziende in favore dei familiari dell'imprenditore, e lo fa in via interpretativa, aggiungendo un requisito non previsto dalla legge". È quanto afferma l'avvocato Carlo Cicala, direttore scientifico di "trust di partecipazioni", commentando la risposta ad interpello numero 552/2021 dell'Agenzia delle Entrate, che esclude dal beneficio dell'esenzione di imposta, prevista dalla legge per il passaggio generazionale delle aziende, le partecipazioni di controllo in holding che non abbiano a loro volta l'effettivo controllo di una società operativa. Il giudizio degli operatori e degli studiosi è negativo, perché in questo modo il Fisco aggiunge, in via di prassi, un requisito per l'esenzione dall'imposta che non è previsto dalla legge.


È noto che la maggior parte delle nostre aziende non regge al passaggio generazionale, anche a causa delle divisioni tra i discendenti e delle liti ereditarie. Cosa è stato fatto per risolvere questo problema?


"Nel 2006 il legislatore è intervenuto introducendo un'importante esenzione fiscale (art. 3, comma 4-ter, del Testo unico sulle imposte sui redditi): i trasferimenti di azienda o di partecipazioni societarie in favore dei discendenti (quindi figli o nipoti) o del coniuge non sono soggetti all'imposta proporzionale sulle successioni e donazioni, a condizione che i successori proseguano l'attività per almeno cinque anni. Per le partecipazioni sociali occorre un requisito in più: vi è la necessità che le partecipazioni assicurino il controllo della società (cioè la maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria). Si tratta quindi di un importante incentivo per evitare la frammentazione dell'impresa, applicabile anche ai trasferimenti disposti con patto di famiglia e trust generazionali. Molto spesso gli imprenditori raggruppano in una holding le partecipazioni in diverse società operative, ed è naturalmente possibile trasferire ai discendenti o al coniuge il capitale sociale della holding, godendo di questo beneficio. Ma l'Agenzia delle entrate ritiene che debba esistere un requisito che la norma non prevede. Secondo l'Agenzia, infatti, il beneficio non spetta se la holding trasferita è a sua volta titolare di partecipazioni che non assicurano il controllo di una società operativa. Quindi, in altre parole, se viene trasferita la totalità delle partecipazioni di una holding, la quale però contiene partecipazioni di minoranza in una o più società operative, non si applica l'esenzione. Si tratta di una interpretazione dell'Agenzia che 'aggiunge' qualcosa che la norma non prevede. L'art. 3, comma 4-ter, del TUS, infatti, riguardo i trasferimenti di partecipazioni non pone requisiti riguardo all'attività esercitata dalla società trasferita, né richiede, in realtà, che questa svolga effettivamente un'attività".

Nella risposta ad interpello, l'Agenzia supporta il suo ragionamento richiamando una sentenza recente della Corte costituzionale. Si tratta quindi di una lettura "costituzionalmente orientata" della norma che prevede l'esenzione?


"In realtà la sentenza della Corte costituzionale (n. 120/2020), menzionata dall'Agenzia, non sembra fornire elementi decisivi a supporto della posizione del Fisco. Si tratta, infatti, di una decisione che era stata resa a proposito di un problema del tutto diverso, e non più attuale, che si era posto quando l'esenzione dell'art. 3, comma 4-ter, del TUS non prevedeva ancora il coniuge quale possibile soggetto beneficiario del trasferimento esente da imposta. Avendo i Giudici costituzionali di mira un altro ordine di problemi, l'inciso contenuto in un obiter dictum della sentenza, secondo cui l'agevolazione in esame risponderebbe all' "esigenza di garantire la continuità aziendale", non si può leggere come un'indicazione circa la necessità di contenerne, nel silenzio della legge, l'ambito di operatività dell'esenzione ai soli trasferimenti di partecipazioni che, direttamente o indirettamente, assicurino il controllo di un'azienda. Direi piuttosto che la decisione dell'Agenzia si basa sulla tendenza, sempre più diffusa, a far prevalere, talvolta a discapito delle stesse intenzioni del Legislatore, una (presunta) 'sostanza' sulla 'forma', non sempre cogliendo le valide giustificazioni di ordine economico ed organizzativo sottostanti ad un'operazione. E così, sulla scia di questo principio 'trasversale', anche se l'art. 3, comma 4-ter richiede espressamente soltanto i due requisiti di cui si è detto, l'Agenzia ne pretende un terzo (l'effettivo controllo di una attività imprenditoriale), quasi a voler limitare l' 'abuso' dell'esenzione per un utilizzo che, a suo dire, non rispecchierebbe le finalità per le quali sarebbe stato concesso dall'ordinamento".

Quale impatto avrà questo orientamento sui passaggi generazionali in corso?


"Anche al di là del caso specificamente considerato, si tratta di un segnale 'restrittivo' che non va a mio avviso nel senso di favorire questo fenomeno, pur apprezzato e tutelato dal legislatore. Specialmente in un momento dove l'Agenzia sembra avere finalmente preso atto del fatto che i conferimenti di beni in trust (e quindi anche i conferimenti di partecipazioni societarie) non scontano l'imposta proporzionale, che verrà pagata se e quando i beni verranno trasferiti ad un beneficiario, solo con ciò determinando un effettivo arricchimento, e quindi il presupposto impositivo del tributo. A quest'ultimo risultato si è arrivati soltanto nell'agosto 2021 con una bozza di circolare, resa pubblica per la consultazione e ancora in attesa dell'emanazione della versione definitiva, dopo che per diversi anni la giurisprudenza della Cassazione ha annullato le pretese dell'Agenzia, che riteneva di applicare l'imposta proporzionale sulle successioni e donazioni all'atto dei conferimenti dei beni in trust. I contribuenti che non hanno prestato acquiescenza, ma hanno deciso di impugnare la liquidazione di tale imposta, hanno dovuto attendere anni prima di vedere riconosciute in giudizio le proprie ragioni. Oggi, quindi, il passaggio generazionale che avvenga per mezzo del trust di partecipazioni è sempre esente da imposta nella prima fase, quella del conferimento del bene, mentre per quanto riguarda il trasferimento al beneficiario finale, sarà sempre esente in presenza dei requisiti previsti dall'art. 3, comma 4-ter, del TUS, così come interpretato dall'Agenzia".

Pensa che l'orientamento dell'Agenzia in tema di passaggio generazionale delle holding possa essere contestato con successo?


"Sappiamo che gli orientamenti del Fisco, contenuti ad esempio nelle circolari e nelle risposte ad interpello, non vincolano i giudici tributari. C'è quindi sempre la possibilità di proporre ricorso, fino alla Cassazione, per vedere affermato un principio anche opposto a quello espresso dagli atti dell'Amministrazione. È però probabile che gli operatori si conformino spontaneamente agli orientamenti dell'Agenzia per evitare contestazioni. Facciamo un esempio pratico: l'imprenditore conferisce ad un trust generazionale le proprie partecipazioni (di controllo) nella holding di famiglia, in modo che vengano gestite dal trustee, incassandone i dividendi, per poi trasferirle ad uno dei discendenti quando quest'ultimo compirà 25 anni. Sappiamo che il conferimento delle partecipazioni nel trust è comunque esente dall'imposta indiretta. Con riguardo invece al trasferimento al beneficiario finale, si pone il problema di verificare se la holding, a sua volta, contenga anche partecipazioni 'di controllo' oppure no. È altamente probabile che l'operatore pratico, anziché “sfidare” l'orientamento dell'Agenzia in un giudizio, vi si conformi spontaneamente per evitare contestazioni. Ecco un caso quindi in cui la prassi fiscale ha un effetto pratico paragonabile a quello della legge".