(Teleborsa) - "La scelta che è stata fatta durante la pandemia è stata quella di privilegiare una comunicazione disordinata e a forte carica emotiva, sacrificando flussi di informazione affidabili e di qualità". Così il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, in occasione della presentazione presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, del Rapporto Ital Communications-Censis "Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione".







Presidente, quali le principali evidenze emerse dal Rapporto Ital Communications-Censis?

"La principale evidenza è che la pandemia ha creato, oltre a paura e sconcerto, troppa comunicazione. In effetti noi viviamo in un flusso di informazioni che diventa comunicazione. Purtroppo sulla pandemia abbiamo avuto tanta comunicazione e poca informazione. La comunicazione ha strabordato riempiendo intere pagine di giornali, travalicando in televisione dove si parlava solo di quello, e anche nei nostri discorsi quotidiani. All'origine di tale divario vi è il fatto che la comunicazione è emotiva e quindi si preferisce all'informazione. Chi gestisce una situazione di questo genere – dal presidente del Consiglio al Comitato tecnico-scientifico, fino al singolo presidente di Regione o al sindaco – gestisce emozione. E la comunicazione serve, appunto, per gestire e suscitare emozioni. Emozioni, spesso tragiche, come quelle evocate dalla fila delle bare a Bergamo, altre volte più allegre, come quelle derivanti dalle immagini stravaganti della gente che cantava sui tetti. In questo modo la comunicazione è stata utilizzata per creare emozione ma non una precisa conoscenza delle cose perché nella comunicazione emotiva non c'è informazione: questo è il vero problema. E per le agenzie di comunicazione la questione è delicata perché, fra una dimensione di comunicazione che parte sempre dall'alto, da Palazzo Chigi per arrivare, infine, al singolo cittadino, in mezzo non c'è niente. Quello che manca oggi è una intermediazione magari meno tempestiva ma più argomentata delle notizie. E le agenzie di comunicazione, all'interno di questo flusso, si trovano spiazzate perché non sono così grosse da poter sostituire gli organi dello Stato nel fare mediazione tra informazione e comunicazione. L'obiettivo della ricerca presentata oggi è, dunque, cercare di capire quale può essere all'interno di tale scenario il ruolo e lo spazio delle agenzie. Uno spazio che si inserisce, appunto, nella mediazione fra messaggio dall'alto ed emozione dal basso. Questo è il futuro della comunicazione".

Infodemia all'interno della quale si inseriscono le fake news, le cosiddette 'bufale' che imperversano soprattutto sui social network. Come si può frenare questa deriva?


"L'informazione sui social ha un solo valore: deve essere virale. Non deve essere corretta, non deve corrispondere al vero, non ha un disegno politico, l'unico suo obiettivo è che venga ripresa immediatamente da tutti perché se non diventa virale non ha senso. Affrontare questo problema in termini di moralità, attraverso un ente preposto al controllo o un codice di regolamentazione, non funziona. Tutto quello che ostacolo il destino alla viralità della dimensione dei social è destinato a essere sconfitto perché la verità è che quella non è comunicazione, è una messa in circuito di informazioni virali. E più sono virali più sono comunicative. In tale circolo, nel tentativo di corrispondere a questo bisogno astratto di viralità, tali informazioni uccidono la comunicazione".

La soluzione sarebbe, quindi, quella di non riprendere queste notizie?

"Certo bisognerebbe non riprenderle. Anche perché il vizio non è nel falsificatore iniziale che lancia la notizia ma in chi la riprende perché è riprendendola che tale notizia viene finalizzata. Finalizzata contro un politico, contro una realtà territoriale, contro un virologo. Il problema non è nel controllo dell'origine ma nella viralità delle fake news e nella capacità degli altri di utilizzarle. Dunque la questione è ben più complessa".