Alla vigilia della ripresa dei lanci spaziali con equipaggio dal territorio americano, Teleborsa ha intervistato l’astronauta Roberto Vittori, protagonista della missione STS-134, la penultima del programma Space Shuttle. Il Gen. Roberto Vittori, astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea e attuale addetto alle questioni spaziali a Washington per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha al suo attivo tre voli a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, effettuati rispettivamente con la Soyuz (2002 e 2005) e con lo Space Shuttle (dal 16 maggio al 1° giugno 2011). Vittori condivide con l’astronauta Paolo Nespoli la permanenza nel complesso orbitale nei 16 giorni in cui è rimasto in orbita.
Come pilota collaudatore, Roberto Vittori ha accumulato circa 2500 ore di volo su circa 50 differenti tipi di velivoli, elicotteri ed alianti. Come professore a contratto e ricercatore associato vanta varie pubblicazioni. Tra le numerose onorificenze si ricorda la Medaglia d’Oro al Valore Aeronautico avuta dal Presidente della Repubblica Italiana, la Medaglia d’Oro ricevuta dall’Amministratore della NASA, e la Medaglia Al Merito per l’Esplorazione dello Spazio ricevuta dal Presidente russo Putin.
Generale Vittori, lei ha preso parte alla penultima missione dello Space Shuttle in qualità di specialista, dopo aver volato con la Soyuz ed esserne stato comandante. Quale significato assume il ritorno di un equipaggio sulla rampa di lancio di Cape Canaveral e quale importanza riveste per gli Stati Uniti il riappropriarsi della capacità di mandare in orbita astronauti in autonomia?
"Era il maggio 2011 quando, dopo lungo addestramento, siamo decollati con la navetta Endeavour per l’ultima vera missione del programma Space Shuttle, tant’è vero che il comandante Mark Kelly dichiarò via radio: "station complete". Vale a dire che quello sforzo durato per oltre 10 anni, dal 1998, per l’assemblaggio della stazione spaziale internazionale, con la nostra storica missione arrivava a completamento. Successivamente la nostra navetta Shuttle Endeavour è stato messa in museo, purtroppo, perché era una macchina eccezionale che ancora poteva dare moltissimo. Ma questa è un’altra storia. Veniamo a oggi. Sono passati nove lunghi anni, durante i quali gli astronauti americani per andare nello spazio hanno dovuto acquistare da russi un passaggio a bordo della navetta Soyuz. Quasi ironico, pensando che Russia e Stati Uniti all’inizio del programma spaziale erano in competizione. Vedere che gli americani hanno acquistato passaggi dai russi dà la sensazione di quanto importante sia per il Governo degli Stati uniti e per l’opinione pubblica americana l’evento del 27 maggio. Per la prima volta dopo nove anni gli americani avranno di nuovo possibilità di lanciare propri astronauti, da un razzo americano, da una base di lancio statunitense".
Alla Crew Dragon di SpaceX seguirà Starliner di Boeing. Due interpretazioni e filosofie diverse di lanciare astronauti verso la stazione spaziale e riportarli a terra. Qual è il valore della competizione lanciata dalla NASA anche in relazione al programma lunare Artemis?
"È una domanda complessa, perché quello in realtà ciò che sembra non è quello che è. SpaceX ha realizzato Crew Dragon, ma soprattutto sta realizzando Starship, la navetta di futura generazione per esplorare Luna e Marte. Boeing sta realizzando Starliner, simile a Crew Dragon. In realtà tra quello che fa SpaceX e quello che fa Boeing ci sono grandissime differenze. Difficile spiegarlo dal punto di vista tecnico-operativo perché sia Crew Dragon che Starliner fanno la stessa cosa: decollano dalla rampa di lancio e portano gli astronauti americani a bordo della stazione spaziale. Differente è l’impostazione di SpaceX e di Boeing. SpaceX è una nuova compagnia, estremamente innovativa, che accetta un rischio altissimo. Boeing è la compagnia classica, che ha fatto la storia programma spaziale americano. Ma proprio perché ha questa lunga storia denuncia anche un problema di rapidità e di costi. Per dare un ordine di grandezza, Elon Musk ha chiesto alla NASA 2,7 miliardi di dollari per fare ciò che realizzerà con il primo lancio da Cape Canaveral, la Boeing il doppio. Eppure la Boeing è in ritardo. Sono partiti assieme, SpaceX è arrivato, Boeing non è chiaro quando e se ce la farà. Quindi è importante non tanto dal punto di vista del successo americano, che comunque c’è. Indipendentemente che sia Boeing o SpaceX, Elon Musk o chi per lui, gli Stati Uniti stanno riconquistando accesso autonomo allo spazio. Questa è la cosa fondamentale. Vale però anche osservare come nell’era della spesa economy sia vincente il nuovo approccio del mondo industriale".
Crew Dragon e Starliner sono considerate fondamentali per rilanciare l’esplorazione umana dello spazio. In che modo potrà mutare lo scenario in termini di collaborazione internazionale e quale ruolo è chiamata a recitare l’Italia con le sue tecnologie e i suoi astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea?
"Crew Dragon e Starliner sono effettivamente dei punti di riferimento fondamentali in quella che è l’evoluzione del programma spaziale americano e di conseguenza anche nostro. Tutto il mondo è in qualche modo collegato a quello che succede negli Stati Uniti, dove c’è la vera space economy. Neppure Cina e Russia da questo punto di vista non possono fare altro che seguire questi nuovi attori americani. Gli Stati Uniti si concentrano adesso sul programma di esplorazione lunare. Effettivamente è la mossa giusta. Marte è comunque di grande interesse per l’esplorazione robotica, scientifica. La Luna è molto di più. E’ anche una opportunità commerciale per reperire risorse in modo da alleviare la pressione che ogni giorno facciamo sull’ecosistema terrestre. La Luna è il naturale prossima passo dell’esplorazione spaziale, ma soprattutto dell’uso delle risorse extra-atmosferiche. Quindi quello che accade adesso è assolutamente coerente e perfettamente logico e l’Italia storicamente ha sempre avuto un duplice ruolo. Da una parte all’interno del mondo europeo e in particolare con l’Agenzia Spaziale Europea, dall’altro con rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. Basta ricordare che il primo satellite italiano, il San Marco 1, è stato messo in orbita da un razzo americano dal poligono di Wallops Island, in Virginia. Era appunto il programma San Marco, anno 1964, ideato dal Professor Luigi Broglio. Poi gli italiani utilizzarono una piattaforma nell'Oceano Indiano, chiamata Santa Rita, davanti alla costa di Malindi, in Kenya, a 2°e 56' a sud dell'equatore. Da allora Italia ha mantenuto sempre dei solidi rapporti bilaterali con gli Stati Uniti".