(Teleborsa) - L’Amazzonia - polmone del mondo che produce il 20% dell’ossigeno nell’atmosfera - è in fiamme. L'Istituto nazionale per la ricerca spaziale del Brasile (Inpe) attraverso i satelliti ha rilevato un aumento dell'83% dei roghi rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso: 73 mila incendi contro 40 mila. Il numero più alto da quando le rilevazioni sono cominciate nel 2013. Lunedì scorso, il fumo degli incendi ha oscurato i cieli di San Paolo.
Nel mirino è immediatamente finita la politica ambientale del Presidente Jair Bolsonaro: "Non ho le risorse per spegnere tutti questi fuochi", ha commentato l'ex militare alla guida del Brasile, le cui politiche ambientali, secondo i critici, sono collegate al picco di incendi: ha ridotto i vincoli alla deforestazione a favore di allevatori e agricoltori, affamati di terra - in particolare pascoli, per soddisfare la crescente domanda di carne bovina della Cina -.
Bolsonaro ha prima bollato i dati come “menzogne”, poi ha fatto infuriare le ong accusandole di essere responsabili dei danni che, a suo dire, avrebbero provocato i roghi per vendicarsi del taglio dei finanziamenti decisi dal suo Governo.
La politica ambientale del Governo brasiliano ha già portato, appena qualche giorno fa, Germania e Norvegia a decidere la sospensione delle loro donazioni al Fondo Amazzonia. Clima di tensione palpabile quando il ministro dell'Ambiente Riccardo Salles è intervenuto alla Settimana latinoamericana e caraibica sui cambiamenti climatici, organizzata dalle Nazioni Unite a Salvador de Bahia, dove è stato fischiato e contestato da molti partecipanti.
Su Twitter, intanto, l’hashtag #PrayforAmazonas è diventato un trending topic mondiale e la protesta contro il Presidente corre veloce sui social network: oggi, 23 agosto i gruppi nel mondo di FridaysForFuture, il movimento ambientalista avviato da Greta Thunberg, hanno annunciato che manifesteranno davanti ai consolati e alla ambasciate brasiliani.