(Teleborsa) - Non c'è spazio per la minoranza del 25% del Pd, che fa capo a Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema ed agli altri "colonnelli" del partito, che si sono spaccati, lasciando prevalere la linea di Matteo Renzi anche su un tema caldo come l'Articolo 18.
I punti salienti del Job Act, soprattutto l'articolo che riguarda il reintegro in caso di licenziamento immotivato, cavallo di battaglia del Pd, sono passati alla riunione di direzione con 120 sì, 20 no ed 11 astenuti. Fra gli oppositori, oltre a Bersani e D'Alema, vi sono anche Civati, Cuperlo, Fassina, Boccia, D'Attorre, e Damiano.
Durissima la posizione di Massimo D'Alema che ha sollecitato il governo a fare "meno slogan, meno spot" e portare avanti "un'azione di governo più riflettuta". Stessa posizione dell'ex segretario Pier Luigi Bersani, che ha fatto menzione del "metodo Boffo", affermando che " "C'è un deficit di sostanza riformatrice".
A convincere altra parte della minoranza, invece, ha concorso l'apertura di Renzi al reintegro in casi specifici: per motivi disciplinari e discriminatori. Non è rimasto inascoltato, dunque, l'appello del segretario alla necessità di "superare alcuni tabù" e "votare con chiarezza" una riforma che risponde ad una "profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e del sistema del welfare".
In cambio, il Premier ha promesso la riapertura del confronto con i sindacati, il cui vertice ieri ha portato ad un sostanziale nulla di fatto su una strategia comune. I sindacati (CGIL, CISL e UIL) hanno però deciso di portare avanti la mobilitazione, non rinunciando allo sciopero generale, nel caso restassero inascoltate le richieste dei lavoratori sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto.