(Teleborsa) - Il Presidente Nicolas Maduro ha assicurato ai creditori esteri che il suo Governo onorerà tutti i pagamenti legati ai 4,5 miliardi di dollari di debito in scadenza il mese prossimo.
Ma sulla stampa straniera, soprattutto statunitense, c'è già chi inizia a parlare di D-day, dove la "D" sta per default. A quanto pare, infatti, il Venezuela è in ginocchio, e non solo finanziariamente: sembra che la popolazione stia cominciando ad avere difficoltà a reperire i beni di consumo più comuni.
Ad alimentare i timori per una insolvenza sono stati proprio due venezuelani: l'ex Ministro per la Pianificazione, Ricardo Hausmann, e Miguel Angel Santos, economista ad Harvard.
In un articolo i due hanno spiegato che stando così le cose, solo un default controllato potrebbe aiutare Maduro a rianimare l'economia venezuelana e ad aiutare il suo popolo.
I motivi di questo possibile tracollo (su Twitter è stato creato anche un hashtag apposito) risiedono principalmente nell'inflazione monstre, che ad agosto ha toccato il 63,4%, e nel forte deprezzamento della valuta locale. A peggiorare la situazione vi sono i continui disordini pubblici in una società divisa tra pro e contro Maduro.
Un chiaro segnale di crisi sarebbe rappresentato dalla decisione dell'Esecutivo del Paese di mettere in vendita le attività di raffinazione negli Stati Uniti in mano alla Citgo, controllata del colosso petrolifero statale.
Un default del Venezuela suona come paradossale, visto che il Paese sudamericano ha riserve di petrolio da far invidia, ma non impossibile.
A differenza del default dell'Argentina, un eventuale tracollo finanziario di Caracas avrebbe implicazioni molto gravi per la finanza globale, se non altro per il fatto che il Venezuela pesa per il 7% sui benchmark dei Paesi emergenti.
Non tutti gli economisti vedono nero, però. Gli 85 miliardi di dollari di esportazioni annuali di petrolio, il ricavato della vendita di Citgo, i 21 miliardi di dollari di riserve (ma solo 3 miliardi sono liquidi) e i 9 miliardi di fondi governativi "oscuri" (così lo chiama il Financial Times), bastano a garantire la copertura delle obbligazioni di Stato in circolazione.