(Teleborsa) - Tu quoque, Facebook? A Wall Street non si parla d'altro: come ha potuto il social network da 901 milioni di utenti attivi nel mondo, sbarcato al Nasdaq con gran clamore dopo aver aumentato prezzi e volumi dell'Ipo, scendere miseramente sotto i valori dell'Offerta Pubblica iniziale a sole due sessioni dal debutto?

Il crollo di ieri, -11% a 34 dollari, ha immediatamente scatenato la caccia alle streghe.

Secondo Bloomberg, parte della colpa va a Morgan Stanley: incaricato da 33 investitori di piazzare 16 miliardi di dollari di azioni, la banca d'affari avrebbe voluto a tutti i costi gonfiare l'Ipo ignorando i consigli di alcuni co-manager, spiega il quotidiano citando persone a conoscenza dei fatti.

Con un po' di realismo in più, Facebook non avrebbe fatto la misera figura che ha fatto, mandando in fumo 10 miliardi di capitalizzazione in poche ore.

C'è anche chi ipotizza che questa debacle sia il frutto dei ritardi accumulatisi sul circuito Nasdaq nel giorno dell'avvio. Le azioni della società di Menlo Park dovevano debuttare alle 11.00 ora locale. Per problemi, le quotazioni sono comparse sul circuito Nasdaq solo quaranta minuti dopo. Gli investitori, non riuscendo a controllare in tempo reale ordini e prezzi, sarebbero andati nel pallone.

Ad ogni modo, il grande entusiasmo visto prima dello sbarco si è tradotto immediatamente in cautela. Se prima molti analisti borbottavano per la presunta scarsa valorizzazione del titolo, avviandone la copertura con un target price di 44 dollari, ora il dietro front è generale.

Le azioni Facebook non valgono più di 30 dollari perché, spiegano, il social network non ha ancora garantito di poter tradurre in ricavi pubblicitari i 900 milioni di users sparsi per il mondo.

Tutte riflessioni, queste, che circolavano anche prima dell'Ipo. Solo che gli euforici avevano prevalso sui pessimisti.